Poesie di Enrica Paresce
Bye bye baby...
tira su il carrello e vola via,
lascia i "remember"
sulla nuda terra,
avvitati di immenso
ora che puoi lanciarti
senza avere
paura di cadere.

Conosci le correnti,
i volti irrigiditi dei potenti,
il senso di calore
dato da un grande
incoerente stato
di innamoramento
o disamore.

La rabbia e la follia
ti faranno da spie
radar di un mondo ostile
in cui girar con stile,
osservando distaccata
dall'alto della brezza
l'ultimo grido in giro
in fatto di bassezza.

E non ti preoccupare
se non c'è dove atterrare
si può volare oltre
se solo la si scorge
come linea frastagliata
che a tutti appare sfocata
ma rigida e severa
di tempo la cerniera.

Silent night
in un accordo
bemolle disaccordo
Sax tenore?
E poi l'abbaiare di un cane
il ruggito sordo e morto dell'ultimo autobus
bara vuota di anime che va.
Ascolto
respiro… fruscio… ticchettio…
orologio… cuore… rubinetto…
Tempo che scorre via
fischiando come un vecchio treno
e ha il sapore del liquore che non ho mai assaporato
leccando via dalle tue labbra
accoccolata sulle ginocchia ossute
amore che ho intravisto all'angolo polveroso di una via
e mi ritorna in mente insieme alle pantofole rosse che non so' dove ho messo
e le vorrei ora con i piedi freddi.
Buio
strappato da rumori improvvisi
Ecco questo è il frigorifero, laggiù un cassonetto che scuote le viscere.
Ed io…
mi addormento stretta stretta
in un sogno, in un bagno tiepido di vita
veglio contando frammenti di sorrisi
sino all'alba che non illumina
ma allarga intorno il suo canto
ragnatela che filtra
altre voci oltre gli scuri.



Scivola il pensiero da te
fra un dente perso e un altro
che il dentista ridente aveva dimenticato di raddrizzare
perso nelle eterne giravolte delle tue rughe
lo splendore dei tuoi pezzi di cielo
che nessuna ingiustizia ha mai corroso
eppure ti amavo
vecchia signora coriacea
ruvida da troppi lavaggi in candeggina
e lo scompigliarsi della lanugine di cardo
che tu insistevi nel considerar capelli da mettere
in forma con qualche fermaglietto brilluccicante
lo cerco in giro
trattenendo stupita bioccoli di polvere extracomunitari
la casa ogni tanto risputa
gli echi delle tue urla
della tua risata
dei tuoi insulti
e mi risveglio all'alba
convinta di dover andare a coccolarti un po'
prima di uscire
seduta sul gradino del terrazzo
al gelo
guardo il cielo livido e sospiro
a questa nuova solitudine


Mi sveglio senza sogni,
in una rete senza ragni.
Nuoto nella boccia
torno a torno, ritorno
all'oblò tondo
della lavatrice impegnata a rilavare
i miei buchi (sempre quelli).
Rotolo in strada,
cielo di mattutina madreperla,
ad accompagnare un'altra vita
un passo, un perché a cui rispondere,
senza nascondere che una risposta
sposta poco o niente
a questo vivere che ci divora
accontenta e rigetta,
e il peso di aver gettato un altro seme
avvelenatore avvelenato
causa e oggetto di un gesto avventato
amoreggia con il senso di nausea
per il caffè negato ai propri nervi
Dei superbi, i nervi,
impediscono la connessione
fra affetto e comprensione.
E l'ultima domanda prima della campanella
rimane sempre in aria
lugubre notte incastrata
fra fastidio e ignoranza.
Ma la mamma è sempre la mamma...


Non c'è comunicazione
in un abbandono
aria e dentro ricordi
sorrisi morti
raspa dentro l'indifferenza viscida
di chi ti è vicino
troppo addosso da non farti male
quando ti accorgi che è cieco
non vede i tuoi colori
non sente dolori
si irrita e ironizza
sulla scomparsa di quella parte di te
che continui a cercare
girando in tondo sulla sabbia del passato
sfiorata dalla schiuma fredda della vita
e negandoti risveglia l'eco
d'indifferenza antica
e ripropone quel piatto
vuoto e dorato
senza significato
egoismo spacciato per saggezza
sentimenti considerati debolezza
è questo il verbo a cui aderire
la formula magica per contenere
l'onda lunga degli affetti a venire
ma allora non è meglio morire?



E ora non dire
che non ti avevo avvertito
mentre affilavo il mio spirito
contro l'isipienza del mondo.
La via per il tramonto
- da inseguire costantemente scalzi -
è tiepida di promesse in trasparenza.
Apriti come la porta al mio respiro
ciglia lievi le dita sulla chiave
che immergi in me
pensando di trovare
un tesoro che mi son ben guardata
dal comprare.
E' estorto quel gemito.
E' macchiata l'estasi,
come una cucchiaiata di gelato
inquinata con quel gusto al fianco
che proprio tu non sopporti.
Rotolando sui sassi della spiaggia
ho scorticato anima e imbottitura
della mia struttura
divano vecchio da rifoderare
per la nuova stagione da affrontare.
Mischia pure i liquori ed i profumi
cannella e arancio, chiodi garofano, gelsomino
sono infilati ormai sotto le mie unghie a vita.
Ricordi...
Rammenti?
Rammendi di volti e gesti
Armadi
pieni di dolore, amore, indifferenza, luce e oscurità,
biancheria consunta e farfalline nere e bianche,
perfide
e tanto simili
a me
nel divorare a tratti
brandelli di persone o di me stessa
speranze e soldi
instancabilmente vagando
senza un futuro maturo
dall'odore disgustoso
frutta grattata e decantata
staccata e caduta
dall'albero
mela che rotola
e si tuffa
sbuffa e precipita
a nuova vita
forse...


Nuoto.
Dispersa la riva,
mi spingo al largo di me.
In questa larga chiazza
- boe ballonzolano a chiudere anime -
di tiepida barbarie
rotolante dalle rive fiorite di ombrelloni privi di nettare
all'acqua morta
affonda lentamente la speranza che ci sia
laggiù, oltre, più lontano,
orizzonte.


Lampi invisibili
raschiano cielo e gola.
Mi crescono le unghie
mentre ti vedo
pelle rigonfia di menzogne
come una nuvola livida
immagino
di incidere rughe
gelosia candida riversarsi fuori
ad impastarmi il passo
mentre cammino
priva di ombrello
nell'uragano dei "se"
dei "forse"
dei "ti amo… ma…"


Io,
frutto,
cerco una buccia nuova fra mille incarti
palpo ed osservo
un nuovo aspetto invento
pesca o seta
e un lieve velo sciolgo
per annodarlo a te
Io,
frutto
solo profumo a parlare dei miei desideri
nella squisita sofferenza dell'attesa
peso insopportabile il mio amore
gonfia la carne e preme
succo dolce ed amaro
che sogna di scorrere libero
fra le tue labbra