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Lisa

Il posto dove vivo adesso

Il posto dove vivo adesso è quello dove vivevo allora, o quasi. Mi sono sempre chiesta se gli abiti da sposa fossero così ampi e voluminosi, gonfi come mongolfiere per seguire il sogno di librarsi su, in alto, seguendo il desiderio di cambiare luogo, di vivere altri spazi.
Il mio è stato un volo breve, ho sorvolato un piccolo rettilineo , un castello e tutto era già finito.
I paesi qui sono così vicini da confonderli, eppure sono così lontani, radicati ognuno nella loro fiera tradizione, nei loro santi venerati come dei o trattati a tu per tu come amici di famiglia, nelle loro storie.
Storie di mare, storie di terra strappata a fatica alla dura roccia per farne giardini.
Sì, in fondo vivo dove vivevo allora.
Allora quando?
Quando crescevo col latte di Lucrezia, un donnone alto e forte che al mattino presto bussava alla mia porta e chissà a quante altre, distribuendo col suo bricchetto di latta, il latte appena munto. Lei tirava giù la " sporta" e senza che una sola goccia si versasse lasciava scivolare il latte a nastro nella lattiera, pronto per essere bevuto, giallastro, schiumoso, denso di panna. Poi sollevava il fazzoletto a quadri che ricopriva la " sporta" e mostrava, palpeggiandoli ad uno ad uno, pezzi di burro, caciottine e mozzarelle fresche, e capivi da dove proveniva l'odore che lei si portava addosso. Odore di mucca, di latte e di sudore.
Allora quando " Rusinella 'a pazza" ogni tanto usciva per le strade, con le sue gonnellone nere e lerce, e ogni tanto allargava le gambe e, con la sfrontatezza e l'innocenza della sua vecchia pazzia, faceva i suoi bisogni lì dove le garbava.
C'erano un paio di pizzerie allora, i turisti, i villeggianti vi andavano a mangiare la pizza o quei pochi piatti che dalle cucine domestiche erano stati trasferiti sul menù del ristorante. Spaghetti con le vongole, baccalà fritto," fravaglie". Nomi semplici, scritti a mano magari così come venivano pronunciati nel dialetto.
Noi la pizza la mangiavamo sulla spiaggia. Le portavamo via una sull'altra, avvolte in una carta giallo senape, separate soltanto da sottili cannucce, e alla fine del tragitto non si riusciva più a distinguere quale fosse il fondo della pizza e quale la parte superiore. Le mangiavamo così, seduti sulla sabbia umida della sera, quando l'oscurità accendeva l'allegria della prima birra e la tristezza della prima sigaretta, quando le battute fesse e i primi dubbi esistenziali camminavano mano nella mano e, a pensarci bene, non erano poi così differenti fra loro.
E non faceva neanche differenza se nelle ville o sugli yacht c'erano principi o presidenti, pittori o scrittori, in fondo noi nella Costiera c'eravamo nati. Eravamo noi i privilegiati, lei era il corpo, noi la sua gente, la sua anima, o forse è che questo quello che avremmo voluto essere, dovuto essere.
Ci sono case qui, in cui il presepe fa parte dell'arredo. Piccoli presepi custoditi con cura sotto campane di vetro. C'è tutto, le casette, la grotta, gli animali, i pastori, tutto.
Come un gioco di scatole cinesi, ecco è così che appare la Costa anche ora, o forse il mio è solo uno sguardo viziato dai ricordi.
Ho covato odio per questa terra che anche oggi stenta a lasciare il suo sonno, che si crogiola e si stiracchia con l'indolenza del mare di bonaccia, l'odio di sentirla dentro, l'odio di vederla così bella tagliata nei colori del vento di tramontana, l'odio che mi tiene rinchiusa fra il limite delle sue aspre colline e la libertà di un mare ingannatore che delle altre terre mi porta l'odore e il desiderio, l'odio per una terra da cui tutti si strappano a fatica e in cui spesso si ritorna da estranei, l'odio da cui sono nati versi e anche queste poche righe. Un odio così grande da essere amore.

(Segue)


Con gli occhi


E ora con questo vuoto sotto i piedi,
nastri si aprono d’azzurro,
improvviso e intatto, e un riflesso lento
acquerella i nostri volti sconosciuti.
Con gli occhi ora cerco un suono nuovo,
di lenzuola fresche stese al sole, livide di vento,
di campanella al primo giorno di scuola,
che ci sfiori nelle dita la stessa fragile sorpresa.
Con gli occhi ora leggo nuove storie quotidiane,
curate da mani passate fra capelli e labbra stinte dalle ore…
e poi intrecciamo nidi di parole, caldi
per un altro inverno ancora da scoprire.

 

 

 





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