Poi malgrè tout
L'albero di dolore scuote i rami
Alla vita
L'immensità dell'attimo
Vita fedele alla vita
Viaggio
Quanta vita
Nella nebbia di quello che tu fosti
(Se musica è la donna amata)
Nulla di ciò che accade e non ha volto
Presso il Bisenzio
Lamento di madre mussulmana
Lamento di madre ebrea
La notte lava la mente
da Viaggio celete e terrestre di Simone Martini
 
 
 
 
 

 

 

 

Omaggio a Mario Luzi (1914 - 2005)

 

State ascoltando Nicola Licciardello leggere un brano tratto da “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini” (Potete leggere il testo qui)

 

Poi malgrè tout è fine febbraio o marzo:
la primavera non c’è ancora,
c’è, trepidante quella numinosa nebula,
quel fuoco bianco nell’aria,
quelle velature seta e argento,
tutto ciò che desidera il senso
ci sia
in questa piega dell’anno, tutto,
la prima barca, il primo verde dei salici,
la prima ruota d’acqua
alla virata dell’armo.
C’è tutto, tutto.
Tutto incredibilmente.

da Bruciata la materia del ricordo
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L’albero di dolore scuote i rami…
di Mario Luzi

Si sollevano gli anni alle mie spalle
a sciami. Non fu vano, è questa l’opera
che si compie ciascuno e tutti insieme
i vivi i morti, penetrare il mondo
opaco lungo vie chiare e cunicoli
fitti d’incontri effimeri e di perdite
o d’amore in amore o in uno solo
di padre in figlio fino a che sia limpido.

E detto questo posso incamminarmi
Spedito tra l’eterna compresenza
Del tutto nella vita nella morte,
sparire nella polvere o nel fuoco
se il fuoco oltre la fiamma dura ancora

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Alla Vita
Di Mario Luzi

Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s'inarca
e tocca il mare, volano creature pazze ad amare
il viso d'Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul bimbo che le chiede senza voce.

Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che precede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti,
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire d'aspettare l'avvenire.

Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profondità s'alterna
col silenzio della terra, è bella
e tutto par nato da quella.

da Poesie Sparse
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L'immensità dell'attimo
di Mario Luzi

Quando tra estreme ombre profonda
in aperti paesi l'estate
rapisce il canto agli armenti
e la memoria dei pastori e ovunque tace
la segreta alacrità delle specie,
i nascituri avallano
nella dolce volontà delle madri
e preme i rami dei colli e le pianure
aride il progressivo esser dei frutti.
Sulla terra accadono senza luogo
senza perché le indelebili
verità, in quel soffio ove affondan
leggere il peso le fronde
le navi inclinano il fianco
e l'ansia de' naviganti a strane coste,
il suono d'ogni voce
perde sé nel suo grembo, al mare al vento.

da Poesie sparse
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Vita fedele alla vita
di Mario Luzi

La città di domenica
sul tardi
quando c'è pace
ma una radio geme
tra le sue moli cieche
dalle sue viscere interite

e a chi va nel crepaccio di una via
tagliata netta tra le banche arriva
dolce fino allo spasimo l'umano
appiattato nelle sue chiaviche e nei suoi ammezzati,

tregua, sì, eppure
uno, la fronte sull'asfalto, muore
tra poca gente stranita
che indugia e si fa attorno all'infortunio,

e noi si è qui o per destino o casualmente insieme
tu ed io, mia compagna di poche ore,
in questa sfera impazzita
sotto la spada a doppio filo
del giudizio o della remissione,

vita fedele alla vita
tutto questo che le è cresciuto in seno
dove va, mi chiedo,
discende o sale a sbalzi verso il suo principio...

sebbene non importi, sebbene sia la nostra vita e basta.

da Poesie sparse
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Viaggio
di Mario Luzi


Non dai vetri, di là dall'Acheronte
i vostri occhi mi guardano, città,
spere di visi languidi alla fronte
rotanti nella livida fuliggine.

Sono io il vostro pianto trattenuto,
quel gemito rientrato nell'informe,
io per un attimo, io sopravvenuto:
poi la tristezza vestirà altre forme.

Vivere e il sole immemore esiliato
sulle stoppie lontane intime al cielo,
vivere è ancora ciò che ci rimane
occupate le dita già del gelo.

da Un brindisi
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Quanta vita
Di Mario Luzi

«Quanta vita» si leva una voce alta di bambino
dove uccelli e uccelli strappati al pigolio di ramo in ramo
filavano tra la perdita di foglie del bosco nel freddo controluce
e tracciano una scia di piume e strida, lasciano quelle rotte frasi
d’un discorso arrivato al dunque, festa
e fuga, mentre uomini appostati
ne preparano lo sterminio; «quanta
vita» ripetono quegli ultimi più luminosi sbattimenti d’ali
per tutta la boscaglia tra mare ed acquitrinio.

E qui, in luoghi ben lontani, ma in un tempo
che come quello non perdona, mentre
incrocio per questa via di banche
senza un cenno d’intesa
compagni d’altri tempi
trascinati da un vento oscuro tra le porte vigilate
e li vedo ansiosi, simili ad uccelli ritardatari, vinti
e arsi dentro da un fuoco indefinibile,
consunto, non ancora spento, presunzione
di forza dove non è forza, orgoglio
d’una fede che non è fede, «quanta
vita» ripete quella voce di nove anni
alla coscienza troppo adulta, troppo
chiara, di nuovo «quanta vita»
che non si percepisce mai la vita
così forte come nella sua perdita.

(da Dal fondo delle campagne)
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Nella nebbia di quella che tu fosti
dentro cieli improvvisi alta, friabile,
coronata di piogge, unta di lagrime,
risonante di echi, non so come...

Nel chiarore di quella che sei oggi,
o equanime, o discosta, non so come
le passioni desistono, precipita
il vento della mia vita in un turbine.

da Avvento notturno
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(Se musica è la donna amata)
di Mario Luzi


Ma tu continua e perditi, mia vita,
per le rosse città dei cani afosi
convessi sopra i fiumi arsi dal vento.
Le danzatrici scuotono l'oriente
appassionato, effondono i metalli
del sole le veementi baiadere.
Un passero profondo si dispiuma
sul golfo ov'io sognai la Georgia:
dal mare (una viola trafelata
nella memoria bianca di vestigia)
un vento desolato s'appoggiava
ai tuoi vetri con una piuma grigia
e se volevi accoglierlo una bruna
solitudine offesa la tua mano
premeva nei suoi limbi odorosi
d'inattuate rose di lontano.
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Nulla di ciò che accade e non ha volto
di Mario Luzi


Nulla di ciò che accade e non ha volto
e nulla che precipiti puro, immune da traccia,
percettibile solo alla pietà
come te mi significa la morte.
Il vento ricco oscilla corrugato
sui vetri, finge estatiche presenze
e un oriente bianco s'esala
nei quadrivi di febbre lastricati.
Dalla pioggia alle candide schiarite
si levano allo sguardo variopinto
blocchi d'aria in festevoli distanze.
Apparire e sparire è una chimera.
E' questa l'ora tua, è l'ora di quei re
sismici il cui trono è il movimento,
insensibili se non al freddo di morte
che lasciano nel sangue all'improvviso.
Loro sede fulminea è qualche specchio
assorto nella sera, ivi s'incontrano,
ivi si riconoscono in un battito.
Sei certa ed ingannevole, è vano ch'io ti cerchi,
ti persegua di là dai fortilizi,
dalle guglie riflesse negli asfalti,
nei luoghi ove l'amore non può giungere
né la dimenticanza di se stessi.

da Poesie sparse
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Presso il Bisenzio
di Mario Luzi

La nebbia ghiacciata affumica la gora della concia
e il viottolo che segue la proda. Ne escono quattro
non so se visti o non mai visti prima,
pigri nell'andatura, pigri anche nel fermarsi fronte a fronte.
Uno, il più lavorato da smanie e il più indolente,
mi si fa incontro, mi dice: «Tu? Non sei dei nostri.
Non ti sei bruciato come noi al fuoco della lotta
quando divampava e ardevano nel rogo bene e male».
Lo fisso senza dar risposta nei suoi occhi vizzi, deboli,
e colgo mentre guizza lungo il labbro di sotto un'inquietudine.
«Ci fu solo un tempo per redimersi» qui il tremito
si torce in tic convulso «o perdersi, e fu quello.»
Gli altri costretti a una sosta impreveduta
dànno segni di fastidio, ma non fiatano,
muovono i piedi in cadenza contro il freddo
e masticano gomma guardando me o nessuno.
«Dunque sei muto?» imprecano le labbra tormentate
mentre lui si fa sotto e retrocede
frenetico, più volte, finché è là
fermo, addossato a un palo, che mi guarda
tra ironico e furente. E aspetta. Il luogo,
quel poco ch'è visibile, è deserto;
la nebbia stringe dappresso le persone
e non lascia apparire che la terra fradicia dell'argine
e il cigaro, la pianta grassa dei fossati che stilla muco.
E io: «E' difficile spiegarti. Ma sappi che il cammino
per me era più lungo che per voi
e passava da altre parti». «Quali parti?»
Come io non vado avanti,
mi fissa a lungo ed aspetta. «Quali parti?»
I compagni, uno si dondola, uno molleggia il corpo sui
[garetti
e tutti masticano gomma e mi guardano, me oppure il [vuoto.
«E' difficile, difficile spiegarti.»
C'è silenzio a lungo,
mentre tutto è fermo,
mentre l'acqua della gora fruscia.
Poi mi lasciano lì e io li seguo a distanza.

Ma uno d'essi, il più giovane, mi pare, e il più malcerto,
si fa da un lato, s'attarda sul ciglio erboso ad aspettarmi
mentre seguo lento loro inghiottiti dalla nebbia. A un [passo
ormai, ma senza ch'io mi fermi, ci guardiamo,
poi abbassando gli occhi lui ha un sorriso da infermo.
«O Mario» dice e mi si mette al fianco
per quella strada che non è una strada
ma una traccia tortuosa che si perde nel fango
«guardati, guardati d'attorno. Mentre pensi
e accordi le sfere d'orologio della mente
sul moto dei pianeti per un presente eterno
che non è il nostro, che non è qui né ora,
volgiti e guarda il mondo come è divenuto,
poni mente a che cosa questo tempo ti richiede,
non la profondità, né l'ardimento,
ma la ripetizione di parole,
la mimesi senza perché né come
dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine
morsa dalla tarantola della vita, e basta.
Tu dici di puntare alto, di là dalle apparenze,
e non senti che è troppo. Troppo, intendo,
per noi che siamo dopo tutto i tuoi compagni,
giovani ma logorati dalla lotta e più che dalla lotta, dalla sua mancanza umiliante.»
Ascolto insieme i passi nella nebbia dei compagni che si
[eclissano
e questa voce venire a strappi rotta da un ansito.
Rispondo: «Lavoro anche per voi, per amor vostro».
Lui tace per un po' quasi a ricever questa pietra in cambio
del sacco doloroso vuotato ai miei piedi e spanto.
E come io non dico altro, lui di nuovo: «O Mario,
com'è triste essere ostili, dirti che rifiutiamo la salvezza,
né mangiamo del cibo che ci porgi, dirti che ci offende».
Lascio placarsi a poco a poco il suo respiro mozzato dall'affanno
mentre i passi dei compagni si spengono
e solo l'acqua della gora fruscia di quando in quando.
«E' triste, ma è il nostro destino: convivere in uno stesso tempo e luogo
e farci guerra per amore. Intendo la tua angoscia,
ma sono io che pago tutto il debito. E ho accettato questa sorte.»
E lui, ora smarrito ed indignato: «Tu" tu solamente"».
Ma poi desiste dallo sfogo, mi stringe la mano con le sue convulse
e agita il capo: «O Mario, ma è terribile, è terribile tu non sia dei nostri».
E piange, e anche io piangerei
se non fosse che devo mostrarmi uomo a lui che pochi ne[ha veduti.
Poi corre via succhiato dalla nebbia del viottolo.

Rimango a misurare il poco detto,
il molto udito, mentre l'acqua della gora fruscia,
mentre ronzano fili alti nella nebbia sopra pali e antenne.
«Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro,
mi dico, potranno altri in un tempo diverso.
Prega che la loro anima sia spoglia
e la loro pietà sia più perfetta.»
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Lamento di madre mussulmana
di Mario Luzi


Allah, sono ai tuoi ordini
i giovani guerrieri,
nel nome tuo combattono e si uccidono,
bruciano come torce
accese alla tua gloria.
Escono dal recinto,
cercano la mischia,
li raccogliamo a pezzi
in un telone, i nostri
figli, i nostri bambini.
Siamo forti di certezze
noi madri mussulmane,
ma il cuore è straziato,
la nostra carne sanguina.

Lamento di madre ebrea
di Mario Luzi


Sei tu, Altissimo, tu solo
che li chiami e li comandi
i figli d'Israele
quando lasciano le case e le officine
per i raids, le spedizioni,
i rastrellamenti. Ti seguono
i ragazzi, si affidano
alla tua giustizia.
Allora perchè non li proteggi
i nostri figli? La nostra gioventù
cade sui campi, maciullata
negli agguati.
Abbi pietà per la nostra carne.
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La notte lava la mente
di Mario Luzi

La notte lava la mente.

Poco dopo si è qui come sai bene,
file d'anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo, chi quasi in catene.

Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita, figge un punto.
Raramente qualche gabbiano appare.

Questa foto, del fotografo Mario Giacomelli,
si intitola come la poesia di Luzi alla quale si ispira


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da “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”
di Mario Luzi


Primo,
unico
in tutto il circostante -
spazio,
tempo - infigge la primizia,
il canto;
in tutto il cavo
inabitato argento
lo ribatte
finché esce la luce
dal suo incanto, cresce,
si diffonde
e allora sul suo esempio
alcuni,
altri per discordanza
bruciano l’armonia nascente,
sfibrano
con febbre ed ingordigia
quell’indicibile sostanza...
Ma c’è,
come ignorarla ? E’ svelata.
E come ritrovarla ?
L’aspetta
il giorno, tutto il tempo della prova.
Matura essa, si macera, assottiglia
fino alla più luminosa
inesistenza-essenza.
[...]
Vita che ad altra vita
pietosamente umilia
perché il giorno nasca puro
e ignaro e pieno di sapienza -
Sorride, lo sappiamo,
di questo il suo sorriso;
di lei compagna o figlia
a cui siamo affidati
eternamente strapazzata ciurma
finché ci porti in salvo,
finché ci annulli.
Nel principio, nella sorgente.
[...]
Stasi - morta l’immagine,
a picco, in se medesima. A piombo
caduta la visione, decomposta in brani,
esatta l’insolazione.
Occhio verde del fiume -
è luglio - tra il fogliame;
vetro pigro-fluente,
verde, verde liquame.
Canne, erba, muschio, fiume,
verderame, verde quasi bitume.
Specchio di chiari cieli,
dov’è radura, di nubi.
Delizia nello stare,
pigrizia nell’andare
dell’acqua, delle creature.
Oh estate, minima stazione
d’immensa verità. Nume.
[...]
se ne va
il giorno umano
e non umano,
...
se ne va il giorno
e l’uomo
e la vita ch’è in loro,
se ne va
avendo e non avendo
saputo qual è stata la sua parte...
ma è stata - lei lo sa - E’ stata
e questo la fa piangere
talora di grazia e di letizia.
[...]
Brani di tempo e storia -
abdica, tempo stato
per un attimo il presente,
lascia
al tempo successivo
le sue spoglie
e sono cibo
esse, sostanziosissimo alimento,
oppure rimasugli,
muffite obsolescenze,
non hanno in sé potenza
alcuna di rigenerazione...
E devono
con pena
i posteri sgombrarne
il suolo, pulire l’orizzonte -
ma restano,
restiamo
noi semi a dimora
a lungo inoperosi
nell’infimo letargo,
celata
eppure forte
cova la nostra persistenza
nell’anno, nel terreno.
E quando il principio ricomincia
e s’avviano germoglio e sfacimento,
ecco i tempi si ricongiungono,
colano tutti in una linfa,
svettano in una sola
spigata moltitudine,
che a te corre ventosa, uomo,
a te calda si offre.
Oh grazia,
o gratitudine !
uomo l’accoglierò,
uomo mi sfamerò
di questa
e di tutte le mie fami -
dice l’impercettibile bisbiglio.
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