da Appunti di viaggio
                
                La Francia del Sud
              …Nell'automobile fa caldo, a dispetto dell'aria condizionata. 
                E' un caldo avvolgente, che culla in una ninna nanna che ammutolisce 
                i sensi e li stupisce. Ottusi e attenti si tendono a cogliere 
                vento e pini, lo svariare del verde, il lungo impazzito frinire 
                delle cicale. Mi allungo nell'abitacolo. Mi distendo. Il mare 
                viola dei campi di lavanda. Il cielo dove galoppano nuvole iridate.Adoro 
                i colori della Provenza, i verdi più freschi delle nuove 
                gemme di pini, i grandi cespugli di oleandri, le agavi.
                Adoro i sapori della Provenza, aromatici e forti, gli odori di 
                lavanda e di timo.
              …Siamo già nella Camargue. Ci fermiamo a La grande 
                Motte. Una città costruita negli anni 60. Artificiale ma 
                non sgradevole. Induco mio marito, che non ama la spiaggia, a 
                camminare nel bagnasciuga. 
                Ritornati vorrei buttar giù qualche idea, qualche emozione. 
                Ma non trovo le parole che mi avevano percorso tra i brividi della 
                pelle nella canicola. Rispetto il silenzio dell'anima. 
              Andiamo a cena. Assiette di frutta di mare. Sono la mia passione. 
                Poi a fine cena siamo alle prese con tomini vari. Mio marito lotta, 
                si arrabbia, minaccia di mangiarli interi, anzi assicura che questo 
                è il modo corretto di mangiarli. Diligentemente pulisco 
                tutto, anche i suoi e alla fine mangiucchio qualcosa.
              …La notte si presenta lunga e profumata, piena di suoni. 
                Ho ancora negli occhi i passi attenti dei trampolieri nella Camargue 
                o i voli degli uccelli variopinti sulla sabbia popolata di cespugli. 
                Avrei voglia di stendermi sulla spiaggia oppure di cercare tra 
                i cespugli un'alcova furtiva. 
              Al mattino telefona mia madre. Chiede dove siamo. Ha saputo degli 
                incendi alle foci del Rodano, dello stagno di Barre. Diecimila 
                ettari di foresta di pini in fiamme.
                Francia? Francia dove? Non mi avete neppure detto l'itinerario!
                Camargue dico e, fidando nella sua poca propensione alla geografia, 
                credo di rassicurarla. Invece è sorprendentemente ferrata, 
                e anche preoccupata. Aggiungo che siamo in partenza per Carcassonne.
              La sera in effetti arriviamo a Carcassonne. Mio marito, armato 
                di cinepresa riprende torri mura intermura viuzze. 
                Io mi distraggo. Cerco l'esprit du lieu. Vado dietro a odori e 
                particolari. Quel tanto che mi è consentito.
                Le foi e le canard imperversano dappertutto. Assaggio diligente 
                ma non sono la mia passione. Preferisco i crostacei i carciofi 
                i meloni.
                Il mattino seguente per una stretta stradina lungo il fiume vado 
                a rivedere la città prima di partire. Mi appare in lontananza 
                nella sua molteplice dimensione: forte delle sue 50 torri, piccola 
                nella sua esigua estensione, quasi un giocattolo, un castello 
                di sabbia. Irreale nella perfetta ricostruzione del secolo scorso.
                Tra Carcassone e Tolosa il paesaggio è piacevole. Girasoli, 
                pini, cipressi, viti basse.
                Arrivati, ci troviamo inaspettatamente travolti da vento e pioggia. 
                Dodici gradi(!) a luglio, e in una zona che avevamo temuto essere 
                troppo calda .
                Turisti diligenti ci affrettiamo a visitare le chiese di Tolosa 
                tra gli scrosci. Giuro a me stessa che non sarà mai più 
                così. Quel turismo frettoloso, che non annusa le cose, 
                che si pone su itinerari prefissati, poco concedendo al caso e 
                alla fantasia, mi ha sempre infastidito. Vorrei scivolare dentro 
                le cose, lasciarmi coinvolgere, lasciarmi sorprendere. Ma ci vuole 
                tempo e animo sgombro. E poi non è detto che sempre succeda.
                E invece nella cattedrale di Albi succede. Le colonne intarsiate 
                di rosa, le volte perfette dipinte di un blu incredibile, mi trasportano 
                in un passato di bellezza e di poesia. La Linguadoca, il Duecento, 
                secolo di poesia e di eresie, di compromessi tra la Vierge e la 
                femme. (Segue)