I racconti di "Arancia"
Come fare imbestialire una donna
Manuale ad uso specifico degli studenti di ingegneria civile

Capitolo primo: le parole “ti amo”

Anche se siete studenti perfettamente in corso e avete superato con successo “Analisi 1”, “Analisi 2”, “Tecniche di Costruzione” e “Acquedotti e Fognature” con il massimo dei voti, a meno che non siate uno di quei rari casi di studente di ingegneria proveniente dal liceo classico, probabilmente non avete mai incontrato, nel corso dei vostri studi, le parole “ti amo”. E’ possibile che non ne conosciate neppure l’esatto significato. Non scoraggiatevi, siete, in realtà avvantaggiati, perché nessuno sa cosa significhino ma gli studenti di facoltà umanistiche sono invece convinti di saperlo.
Dunque partiamo dal presupposto che, se di una parola non si conosce il significato, questa parola in realtà non significa nulla. Fate conto che si tratti di una di quelle formule che utilizzate quotidianamente nei vostri calcoli: una volta dato l’esame non è più importante ricordare da cosa la formula derivi ma è importantissimo sapere come e quando essa va applicata.
Dato che il presente manuale si propone di insegnarvi come far imbestialire una donna, ora verranno elencati tutti gli usi di queste due semplici parole idonei allo scopo suddetto.


Lei vi bisbiglia: “ti amo”. Segue l’elenco delle risposte più idonee:
* Fai bene
* Mi sembra scontato
* A sì?
* Grazie.
* Me lo hai già detto ieri.
* Direi che lo stesso vale per me.
* Certo.
* Pronunciate una frase qualunque per cambiare argomento, ad esempio: “Ti sei poi ricordata di controllare se il muro che separa il bagno dalla cucina di casa tua ha subito fessurazioni in seguito a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave?” Oppure: “I cibi nella dispensa sono ancora disposti in ordine di data di scadenza come li ho lasciati?”


Lei vi bisbiglia: “Mi ami ancora?”. Segue l’elenco delle risposte più idonee
* Mi sembra scontato (a volte gli ingegneri sono monotoni)
* Cosa intendi?
* Perché me lo chiedi?
* Dovresti saperlo!
* Te l’ho detto un mese fa!
* Ma ancora me lo chiedi?
* Rimanete in silenzio e fatevelo chiedere per tre volte prima di emettere uno stitichissimo “Sì”.
* Rimanete in silenzio e basta.
* Pronunciate una frase qualunque per cambiare argomento, ad esempio: “Ti sei poi ricordata di controllare se il muro che separa il bagno dalla cucina di casa tua ha subito fessurazioni in seguito a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave?” Oppure: “I cibi nella dispensa sono ancora disposti in ordine di data di scadenza come li ho lasciati?”


Voi le state raccontando i dettagli dell’ultima lezione di “Acquedotti e Fognature” e lei improvvisamente vi interrompe con un bacio bisbigliando “Ti amo”. Segue l’elenco delle azioni più idonee
* Spostatela delicatamente e, come se nulla fosse, continuate a raccontare.
* Spostatela bruscamente e, come se nulla fosse, continuate a raccontare.
* Rispondete frettolosamente al bacio, come se nulla fosse, continuate a raccontare.
* Ditele: “non mi interrompere”
* Chiedetele di ripetere l’ultimo argomento di cui le avete parlato.
* Pronunciate, con le sue labbra ancora posate sulle vostre, i criteri di scelta tra un collettore artificiale e un rio tombinato per drenare una zona residenziale ad alta densità di Calcutta.


Lei vi sta raccontando con passione qualcosa per voi assolutamente inutile, ad esempio: “Il balletto classico nasce dalla danze di corte ai tempi del Re Sole …” con storia dettagliata della danza barocca e dei costumi dell’epoca e della nascita della figura del danzatore professionista. Si accorge che voi non l’ascoltate e, invece, osservate attentamente un muro che costeggia la strada che state percorrendo. Si interrompe e vi domanda “ma tu mi ami?”. Segue l’elenco delle azioni idonee:
* Approfittate dell’interruzione del suo fastidioso flusso di parole per iniziare a spiegarle se il muro in questione è di controripa, di sostegno o di sottoscarpa.
* Dirle “sì, sì certo” senza nemmeno guardarla e continuare ad eseguire calcoli mentali a riguardo di quel muro
* Dirle: “E’ pieno di fessure e drena male: si vede proprio che questa roba l’ha progettata un architetto!”
* Ricordarle che non ha controllato se il muro che separa il bagno dalla cucina di casa sua ha subito fessurazioni in seguito a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave
* Approfittare dell’interruzione per proseguire con la narrazione dell’ultima lezione di Acquedotti e Fognature.


Lei vi prende di petto e domanda: “Perché non mi dici mai che mi ami?”. Segue l’elenco delle risposte più idonee.
* Ma mi sembra scontato! (a volte gli ingegneri sono monotoni)
* Cosa intendi?
* Te l’ho detto un mese fa!
* Perché, se te lo dico più spesso vuole dire che ti amo di più?
* Pronunciate una frase qualunque per cambiare argomento del tipo: “Ti sei poi ricordata di controllare se il muro che separa il bagno dalla cucina di casa tua ha subito fessurazioni in seguito a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave?” Oppure: “I cibi nella dispensa sono ancora disposti in ordine di data di scadenza come li ho lasciati?”


Ora, quello che a voi studenti di ingegneria appare chiaro, è che le parole “ti amo” sono come il legante che tiene uniti due mattoni, là dove i mattoni rappresentano i due elementi della coppia. Quello che la vostra formazione professionale vi porta a credere, però, è che tra due mattoni basti mettere il legante una sola volta. Restauri strutturali saranno eventualmente necessari solo a distanza di decine di anni. Ma se uno dei due elementi della coppia è una donna la cosa non funziona così. Questi strani esseri, contrariamente ai mattoni e agli ingegneri, si nutrono di parole. Se voi le dite “Ti amo” alle 10 di mattina, è probabile che a mezzogiorno lei vi chieda di dirlo ancora. Semplicemente ha divorato la malta e se non ne mettete di nuova costruzione rischia di crollare.

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Capitolo secondo: l’uso del telefono e del telefono cellulare


L’uso del telefono assume una rilevanza particolare nei rapporti a distanza. Per rapporti a distanza si intendono quelle situazioni in cui i due elementi della coppia vivono in luoghi talmente lontani da rendere la frequentazione quotidiana impossibile. (esempio: Milano - Ronco Scrivia)
In tali situazioni il telefono si trasforma, da semplice strumento occasionale di comunicazione, a luogo privilegiato dello svolgersi del rapporto.
In questo capitolo ci concentreremo quindi su questa situazione particolare, che ci pare la più complessa e che offre maggiori spunti di riflessione e soprattutto maggiori occasioni per far imbestialire una donna. Naturalmente i consigli che verranno dati qui di seguito possono essere facilmente applicati anche in rapporti non “a distanza” con risultati eccellenti.

E’ necessario, per prima cosa, dare una definizione chiara e precisa di cos’è un telefono.
* Il telefono per gli studenti di ingegneria civile: strumento tecnologico studiato per trasmettere i suoni a distanza, idoneo per le comunicazioni verbali tra due esseri umani.
* Il telefono per una donna: strumento indispensabile per comunicare ogni pensiero ed emozione possibilmente nell’instante esatto in cui essi sorgono.
* Il telefono per gli studenti di ingegneria civile genovesi: strumento tecnologico studiato per trasmettere i suoni a distanza idoneo per brevi comunicazioni verbali tra due esseri umani.

Parte prima: il telefono cellulare.
Se siete studenti di ingegneria civile, molto probabilmente passate la maggior parte del vostro tempo in facoltà. L’unico strumento che la vostra compagna ha per mettersi in contatto con voi dall’alba al tramonto è il telefono cellulare.
Già le caratteristiche de vostro telefono cellulare possono farvi ottenere ottimi risultato. Abbiate cura che il vostro telefono cellulare:
* Sia dotato di una batteria vecchia e che non riesca a rimanere carica dall’alba al tramonto.
* Non sia dotato di un carica batteria portatile
* Utilizzi possibilmente il protocollo etacs in modo da non consentire l’uso dei brevi messaggi di testo.
* Non sia dotato di vibracall
* Sia in grado di spegnersi autonomamente, anche quando la batteria è carica, possibilmente nel momento più tenero della conversazione.
* Abbia una capacità di ricezione così scarsa che, in qualunque locale chiuso, dia la segnalazione “nessuna copertura di rete”
* Abbia un microfono così rovinato che qualunque parola voi pronunciate vada ripetuta tre volte e che, comunque, la vostra voce suoni metallica, distante e fredda.
Se il vostro telefono non corrisponde a queste caratteristiche potete facilmente procurarvene uno più confacente con una modica somma di denaro, anzi è possibile che qualche studente di economia o di architettura sia addirittura disposto a pagarvi purchè lo liberiate del suo vecchio telefono.

Andiamo ora a descrivere il comportamento da tenere durante le conversazioni telefoniche.

Caso 1: Ricevete una telefonata da lei.
Segue l’elenco delle risposte più idonee
* Dimmi, dimmi, veloce.
* Parla
* Cosa vuoi*
* Richiama tra 7 minuti (e interrompete immediatamente la comunicazione)
* Ora non posso (e interrompete immediatamente la comunicazione)
Attenzione: il tono di voce che utilizzerete per queste risposte è importantissimo. Deve essere sempre assolutamente impersonale e non fare mai trapelare tenerezza. Abbiate cura di dare sempre l’impressione di essere stati interrotti durante un’attività importante e delicata. Se non siete buoni attori, non importa. Le caratteristiche tecniche del microfono descritte più sopra dovrebbero aiutarvi.
Se riuscirete a rispondere in questo modo per un periodo di tempo sufficientemente lungo, probabilmente la prima parola che lei vi dirà non sarò più “pronto” o peggio, quel fastidioso “ciao amore” ma sarà un timido “disturbo?”. Quando questo avverrà ad ogni chiamata, saprete di essere diventati veri maestri nella prima parte di questa delicata pratica.

Lei vi ha chiamato e quindi presumibilmente tenterà di dirvi qualcosa, oppure cercherà di coinvolgervi in uno scambio di coccole telefonico. Abbiate cura che non riesca assolutamente in nessuno dei due intenti.
Segue l’elenco dei comportamenti più idonei da tenere durante lo svolgersi della conversazione:
* Interrompetela più e più volte durante la conversazione per informarla del contenuto dell’ultima lezione di “acquedotti e fognature” che avete seguito”.
* Smettete di parlare con lei per rivolgervi ai compagni di facoltà che passano per il corridoio, salutarli, e chiedere loro informazioni. Più le conversazioni che avrete con i vostri compagni di facoltà saranno banali ed inutili, più l’interruzione risulterà efficace.
* Se lei cerca di portare la conversazione su argomenti del tipo: mi ami ancora? Potete utilizzare ciò che avete appreso nel capitolo 1 di questo manuale.
* In alternativa iniziate una dettagliata descrizione di un rio tombinato. Anche se non siete biologi, vi consiglio di portare la sua attenzione sulla fauna che lo popola.
* Appena cerca di affrontare l’argomento che le sta a cuore, quello per cui ha osato disturbarvi in facoltà, iniziate un resoconto dettagliato delle possibili composizioni della malta bastarda o dei sistemi di drenaggio del terreno.
* Raccontatele ciò che fanno i vostri compagni di facoltà durante la vostra conversazione e soprattutto fatele notare quanto per vuoi sia imbarazzante intrattenervi con una donna e quanto questo vi renda oggetto di scherno da parte degli altri.

Ora viene il punto più importante: la chiusura della telefonata:
Fate in modo di essere sempre voi a decidere il momento in cui la conversazione deve avere termine e abbiate cura che questo avvenga senza che lei sia riuscita nei suoi intenti.
Ecco alcuni esempi efficaci:
* Ditele: “Ora devo andare, ciao”. e interrompete immediatamente la conversazione. Quindi spegnete il telefono cellulare perché non possa richiamarvi.
* Ditele che un vostro compagno vi chiama per una partita a carte e interrompete immediatamente la conversazione. Quindi spegnete il telefono cellulare perché non possa richiamarvi.
* Ditele che dovete recarvi in aula, anche se manca più di mezz’ora alla ripresa delle lezioni, per accertarvi che gli oggetti con cui avete occupato il posto siano ancora là. In questo caso vi verranno in aiuto le caratteristiche tecniche del telefono che, all’interno dell’aula, non riesce a connettersi alla rete.
* Iniziate una frase tenera e, sul più bello, interrompete la conversazione simulando lo spegnimento autonomo del telefono.
Tengo a rammentarvi l’accurata applicazione delle istruzioni relative alle caratteristiche tecniche del vostro apparecchio vi agevolerà moltissimo in ogni circostanza.

Caso 2: La chiamate voi.

Questo deve avvenire il più raramente possibile quindi non occorre dilungarsi a lungo sull’argomento. Chiamate solamente in caso di estrema necessità cioè se:
* dovete informarla che non vi recherete all’appuntamento che avete fissato da settimane
* dovete avvertirla che farete molto tardi, ma in questo caso abbiate cura di chiamare solamente dopo mezz’ora di ritardo effettivo.
* avete bisogno che esegua per voi una ricerca su internet
Se chiamate perché avete un reale desiderio di parlare con lei (non siete ancora veri ingegneri, solo studenti, avete forse ancora un cuore) cercate prima un pretesto credibile e non fatele assolutamente capire la vostra motivazione.

Segue in breve elenco di frasi con cui è consigliato aprire la conversazione
* Richiamami tra sette minuti (e interrompete immediatamente la comunicazione)
* Connettiti al sito www.ingegneria.unige.it e verifica la data del prossimo appello di idrologia
* Ho solo due minuti.
* Sto arrivando, ciao. (e interrompete immediatamente la comunicazione)
* Ti sei ricordata di verificare se il muro che separa il bagno dalla cucina di casa tua è un muro portante?

Parte seconda: uso del telefono di rete fissa.
Le conversazioni con un telefono di rete fissa sono molto più difficili e pericolose.
Se siete studenti di ingegneria civile, molto probabilmente vivete ancora con i vostri genitori perché i vostri impegni di studio non vi permettono di intraprendere un’attività lavorativa. Non avete quindi alcun potere sulle caratteristiche tecniche dell’apparecchio che utilizzerete. Limitate quindi il più possibile questo tipo di chiamate oppure concentrarvi attentamente sul tono della vostra voce che, come nel caso delle chiamate con telefono cellulare, deve risultare fredda, distaccata ed impersonale.
Escogitate ogni volta una nuova scusa per interrompere bruscamente la chiamata: il telefono di casa non si scaricherà.

Seguono alcuni consigli:
* Sostenere che il cordless di casa è guasto e che siete costretti a parlare in piedi, in anticamera, e che la vostra conversazione è attentamente ascoltata da vostra madre e da una vecchia zia bigotta che non concepisce scambi affettivi al di fuori del matrimonio.
* Dite che la linea telefonica è occupata da vostro padre, sorella, fratello, criceto o da un collegamento a iternet fondamentale tramite il quale state scaricando l’intera bibliografia mondiale sulla struttura delle cloache. Chiamate o fatevi chiamare, quindi, col telefono cellulare. Questo riporta immediatamente alla prima parte di questo capitolo.
* Utilizzate almeno metà del tempo che trascorrerete al telefono per litigare con vostra sorella/fratello/criceto, per lamentarvi del disegno del vostro copriletto, per definire con vostra madre il menù per la cena e l’altra metà per lamentarvi con lei del comportamento di vostra sorella/fratello/criceto o, in casi estremi, del comportamento del suo gatto.
* Ricordatevi di non chiederle assolutamente come sta e di non lasciarle lo spazio perché vi dica ciò che a lei farebbe piacere dire.
* Se lei riesce comunque a infrangere la vostra accurata cortina e si lancia in versetti affettuosi o in racconti che la riguardano personalmente, interrompetela immediatamente per leggerle ad alta voce la parte più complessa degli appunti di scienze delle costruzioni. In caso di protesta fingetevi costretti a simulare una telefonata con un compagno di studi dalla presenza minacciosa di vostro padre che reclama l’uso del telefono.
* Se vi comunica di essere malata, triste o di avere qualche problema, chiedetele immediatamente se ha pulito la cucina o se ha svolto la ricerca su internet che le avete chiesto.

Pretesti per interrompere bruscamente la chiamata:
* Vostra madre vi informa che è pronto in tavola
* Vostro padre ha urgente bisogno del telefono
* Vostra sorella si connette ad internet e fa cadere la linea
* Il vostro criceto ha un attacco apoplettico e dovete portarlo urgentemente dal veterinario
* Dovete studiare immediatamente
* Dovete andare in bagno
* Avete sonno
* Inizia il vostro programma preferito in tv
* Dovete uscire con gli amici
* Avete stabilito un diagramma per il miglior sfruttamento della rete fognaria del vostro quartiere e da questo studio delicato risulta che dovete fare la doccia in questo momento preciso.

Conclusione
L’accurata applicazione delle istruzioni di questo capitolo avrà certamente risultati sorprendenti. In brevissimo tempo lei smetterà di tormentarvi con le sue abituali e fastidiose smancerie e sdolcinatezze. Sarete riusciti a toccarla nella parte più vulnerabile della sua personalità e cioè nella sua assurda necessità di comunicare e manifestare in continuazione i suoi sentimenti e di avere continua conferma dei vostri.

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Capitolo Terzo: le coccole

Non si è mai capito per quale motivo, ma pare che le donne abbiano bisogno di una quantità di contatto fisico pari a quella di cui necessita un uomo elevata alla trecentesima potenza e pari a quella di cui necessita un ingegnere elevata alla trecentomillesima potenza.
Ad un recente congresso di antropologia, svoltosi nel tinello di casa mia ogni mercoledì sera durante gli ultimi dieci anni, si è dibattuto abbondantemente l’argomento, giungendo alla conclusione che questa assurda e inspiegabile necessità femminile deriva certamente dal nostro discendere dalle scimmie.
Se osservate attentamente un gruppo di scimpanzé, noterete che le femmine sono sempre indaffarate e spulciarsi e toccarsi e, soprattutto, ad accudire i piccoli. Anche i giovani maschi partecipano ai giochi di contatto. Il maschio dominante, invece, rimane solo e in disparte. Si avvicina alle femmine esclusivamente per la quotidiana (breve, per favore) operazione di pulizia del mantello dai parassiti e per espletare funzioni fisiologiche atte alla riproduzione.
Le femmine della specie umana hanno conservato la naturale propensione a cercare frequenti occasioni di contatto fisico. Più che una propensione direi trattarsi di una vera e propria necessità. Recenti esperimenti, svoltisi anch’essi nel tinello di casa mia, hanno dimostrato che una femmina della specie umana, privata per lungo tempo di contatto fisico, giunge in breve tempo a dare segni di squilibrio mentale. (non ero io la cavia, lo giuro! Non ero io!)
I maschi della specie umana, invece, a causa della fine della famiglia allargata e della sempre maggiori difficoltà di inserirsi in un contesto sociale, sono tutti convinti di essere maschi dominanti. Questo li porta a difendere ossessivamente il loro splendido isolamento.

Gli ingegneri civili di sesso maschile sono una categoria a parte: l’iter formativo cui sono sottoposti mira ad instillare in loro la convinzione di essere dei maschi super dominanti. Voi siete studenti di ingegneria civile e quindi rientrate, biologicamente, nella categoria dei maschi giovani e sareste naturalmente portati a partecipare ai giochi di contatto tanto graditi alle femmine, ma non dovete scordarvi la vostra meta finale, lo scopo della vostra vita e lo scopo di questo testo. Studiate dunque attentamente le istruzioni che seguiranno che, oltre ad essere molto efficaci nel far imbestialire una donna, vi saranno estremamente utili per il fortunato svolgersi della vostra carriera.

Seguono alcuni semplici esempi che potranno facilmente essere applicati anche in occasioni diverse da quelle descritte.

State camminando per strada insieme alla vostra ragazza quando lei tenta di prendervi la mano. Ecco le azioni migliori da compiere:
* Lasciate che il vostro braccio penzoli come morto e che lei vi tenga la mano senza ricambiare la stretta. (Se riuscita a mantenere questo comportamento abbastanza a lungo otterrete risultati eccezionali, a volte perfino definitivi!)
* Prendetele la mano per qualche secondo poi ricordatevi improvvisamente che avete assolutamente bisogno di un oggetto qualunque che si trova nelle vostre tasche, nello zaino, nella cavità orofaringea o in quella auricolare e, per effettuare la ricerca, liberate immediatamente la mano
* Tenetele la mano fino al primo semaforo, quindi, anche se siete a piedi, lasciatela dicendo che non riuscite ad ingranare la prima.
* Ditele che ha la mano sudata.
* Ditele che ha la mano troppo fredda.
* Ditele: “ma dai, c’è gente!”
* Ditele: “è una cosa che non ho mai sopportato!”
* Se è inverno, liberate immediatamente la mano e indossate i guanti.
* Liberate la mano per indicarle una “caditoia a bocca di lupo” e approfittate dell’occasione per tenerle una breve conferenza sulla struttura e il funzionamento della stessa, sulla rete fognaria sottostante, sui criteri di scelta tra un collettore artificiale e un rio tombinato per drenare una zona residenziale ad alta densità di Calcutta. Ogni volta che lei tenta il riavvicinamento, allontanatevi col pretesto di guardare il capolavoro da un’altra angolazione.
* Liberate la mano per indicarle una fessurazione nel muro che costeggia la strada che state percorrendo ed esclamate: “ E’ pieno di fessure e drena male: si vede proprio che questa roba l’ha progettata un architetto!”. Ogni volta che lei tenta il riavvicinamento, allontanatevi col pretesto di guardare la crepa da un’altra angolazione.
* Se siete molto pazienti, aspettate di incrociare la sua vetrina preferita di fronte alla quale lei immancabilmente si fermerà. A questo punto voi proseguite decisi senza lasciarle la mano. Se siete fortunati ve la lascerà lei stessa. Se non lo farà, il risultato sarà addirittura migliore.
* Lasciatele la mano per percuotervi la fronte e chiederle: “Ma ti sei poi ricordata di controllare se il muro che separa il bagno dalla cucina di casa tua ha subito fessurazioni in seguito a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave?”

Avete deciso di passare una serata in casa e state guardando insieme la televisione.
Lei si rannicchia sul divano accanto a voi e si avvicina pericolosamente tentando di farsi un nido tra le vostre braccia.
* Sopportate pazientemente per circa 20 millesimi di secondo poi sbuffate: “che caldo questa sera!” (nevica? Ci sono ghiaccioli che pendono dal soffitto? Non importa: il maschio dominante e l’ingegnere hanno sempre caldo!)
* Informatela immediatamente che alla prima pubblicità vi recherete in bagno
* Recatevi in bagno senza aspettare la pubblicità
* Chiedetele di prendere una birra dal frigorifero. Quando avrete il bicchiere in mano potrete anche dire: “me la fai rovesciare tutta”
* Iniziate a contorcervi e a stiracchiarvi simulando un improvviso e lancinante torcicollo.
* Se sul teleschermo appare un semaforo, potete sempre liberarvi dall’abbraccio dicendo che non riuscite ad ingranare la prima
* Se sul teleschermo appare una strada, sciogliete l’abbraccio per spiegarle meglio se il muro che la costeggia è di controripa, di sostegno o di sottoscarpa.
* Alzatevi tempestivamente dal divano e recatevi a controllare se il muro di separazione tra il bagno e la cucina ha subito fessurazioni in seguito a spostamenti incipienti dovuti al fluage della trave.

Descriveremo ora una situazione altamente imbarazzante. Siete tristi e desiderate farvi coccolare da lei. Questo agli ingegneri non accade mai, ma voi siete ancora studenti e potreste cadere vittime di questo tratto, non ancora perfettamente strutturato, del vostro carattere.
Segue un elenco di suggerimenti per gratificare il vostro bisogno senza lasciar trapelare questa inconfessabile debolezza, ma ricordate che tanto più raramente vi troverete in questa incresciosa situazione, tanto più alte saranno le possibilità di portare a compimento lo scopo che questo manuale si prefigge.
* Iniziate a raccontarle, nei minimi dettagli, l’ultima lezione di “acquedotti e fognature” che avete seguito, utilizzando termini tecnici per lei incomprensibili. Continuate a parlare, guardandola negli occhi. Ad un certo punto lei vi bacerà spontaneamente bisbigliando: “tesoro, non ho capito nulla.”
* Spigatele che la mattina successiva dovete dare alle h 08.30.00 lo scritto di “scienze delle costruzioni”, alle h 14.00.00 l’orale di “Idrologia” e alle h 16.30.00 il compitino di “acquedotti e fognature”. Ditele che temete di non riuscire a riposare per la tensione e chiedetele un massaggio. Questo gratificherà il vostro bisogno di attenzioni senza concedere a lei la soddisfazione di sentirsi coccolata. Dopo il massaggio, naturalmente, addormentatevi immediatamente.
* Parlatele a lungo dei criteri di scelta tra un collettore artificiale e un rio tombinato per drenare una zona residenziale ad alta densità di Calcutta, esprimendo il desiderio di visitare con lei un rio tombinato, possibilmente in loco. Attardatevi a descriverle dettagliatamente la fauna che lo abita. Certamente lei, terrorizzata, vi abbraccerà.

Conclusione
Se riuscirete ad applicare con cura le sopraelencate istruzioni molto probabilmente non avrete alcun bisogno di proseguire nella lettura e nello studio di questo testo. La vostra ragazza, privata della conferma costante del vostro amore per lei, della possibilità di esprimere i suoi sentimenti, della sicurezza datale del contatto fisico e della tenerezza, sarà talmente irritata da lasciarvi senza nemmeno prendersi cura di informarvi dell’accaduto o talmente annichilita da non osare più avvicinarsi a voi senza chiedere chetamente il permesso.

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Come far imbestiliare una donna (bigino)

Prefazione

Dopo il grande successo di pubblico della prima edizione di questo manuale, la nostra casa editrice è stata sommersa da ordini di acquisto da parte di tutte le più grandi librerie italiane. Il manuale è stato tradotto in dodici lingue e gli studenti di ingegneria civile di tutto il mondo ci hanno inviato innumerevoli lettere di ringraziamento.
Noi, ben sapendo quanto la vita di uno studente di ingegneria civile sia colma di impegni e scadenze, abbiamo deciso di agevolare la loro formazione sentimentale e anche, diciamolo, di arricchirci ulteriormente, pubblicando un breve sunto dei concetti fondamentali espressi nella notevole trattazione della Fantaguzzi.
Tenendo conto del fatto che l’autrice, alla sua prima pubblicazione, ha rinunciato ai diritti d’autore, calcoliamo che questo possa portare velocemente la nostra piccola casa editrice a quotarsi in borsa.
Nella speranza che ci siate grati del gravoso lavoro si sintesi di cui ci siamo fatti carico, diamo alle stampe questo testo indispensabile.

La redazione della casa editrice “Manuali inutili & dannosi”


Come far imbestialire una donna
Manuale ad uso specifico degli studenti di ingegneria civile


Bigino

Desiderate realmente far imbestialire una donna? Comportatevi nel modo più naturale possibile. Funziona sempre.

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Galline

“Hai visto? E’ uscito un film che si intitola “Galline in fuga”!!! EVVIVA!!! Libertà per le galline!!! Mi porti a vederlo?”
“Stai scherzando vero? E’ una cosa per bambini.”
“No, non sto scherzando. Devo andare a parteggiare per le galline. DEVO! Capisci?”
“Sei impazzita!”

Non sono impazzita.
Quando avevo quattro anni mio fratello, per offendermi, mi chiamava “Abominevole Gallina Strozzata” (AGS per gli amici). Io me la prendevo da morire e non tanto per la gallina strozzata, che pure mi pareva una condizione abbastanza dolorosa, ma per la parola abominevole di cui non conoscevo il significato e nessuno voleva spiegarmelo e quindi pensavo fosse una cosa orribile. (Non ero poi così scema!)

Mio padre, per consolarmi, mi chiamava Gallinella strozzata (GLS per gli amici). Non era una gran consolazione. La domenica mattina, prima che mi svegliassi nascondeva delle uova nel mio letto e poi mi diceva che le avevo fatte io. Naturalmente io ci credevo. Poi le uova venivano messe nel frigorifero e cucinate. La mia famiglia si mangiava i miei bambini!
Un giorno ho deciso di non accettarlo più. Ho preso tutte le mie uova dal frigorifero, le ho deposte teneramente sullo zerbino di casa, la cosa per me più simile ad un nido, e mi ci si sono seduta sopra per covarle.

Nessuno ha più messo uova nel mio letto, la mattina.

Ancora oggi io non mangio volentieri le uova, ci vedo una sorta di cannibalismo e di infanticidio insopportabili.
Voglio assistere alla fuga di quelle galline! Voglio sapere se riusciranno a liberarsi dal loro terribile destino di creature prima sfruttate e poi uccise.

“In che cinema lo danno?”

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“Cassonetto differenziato”

“Lo spazzino è più sereno e poi s’impressiona meno…”
Elio e le Storie Tese

Ho già deciso come farò, perché bisogna avere rispetto del destino. Già una volta gli sono sfuggito per colpa di un intervento imprevisto. Occorre rimettere a posto le cose. Correggere ciò che è stato deviato da un inutile e dannoso fervore.
Aspetterò il terzo giorno del mio quarantunesimo anno di vita.
Il terzo giorno, perché voglio concedere al fato, alla natura, la possibilità di sistemare le cose spontaneamente. Sarebbe tutto più facile, per me, se il destino compisse il suo corso senza il mio intervento.
Aspetterò il terzo giorno del mio quarantunesimo anno di vita, ma in realtà tutto è già pronto. Mancano esattamente 77 giorni.
Ho già rubato un sacco nero per la raccolta dei rifiuti dalla cassetta che giace nel locale spazzatura del mio condominio.
Non sarà una cosa difficile da fare.
Lavoro in una ditta di spedizioni e la settimana scorsa mi sono fatto regalare, al reparto imballaggi, una confezione di quei fiocchetti di polistirolo che sembrano cipster. E anche un bel pezzo di cellofan con le bollicine. Mi divertivo un sacco a farle scoppiare, quando ero bambino, e anche con le patatine mi sarei divertito. Ma non sarà un gioco tra 77 giorni, anche se sarà facile.
Aspetterò il terzo giorno del mio quarantunesimo anno anche per un motivo molto più banale: perché sarà lunedì. Il lunedì è il giorno in cui il grande camion dei rifiuti ritira la spazzatura.
Ho studiato attentamente il processo: alle otto di sera un uomo apre il locale condominiale e, con l’aiuto di un carrello, porta tutti i sacchi neri sul marciapiede di fronte al cancello d’entrata.
Io dovrò entrare in azione nel lasso di tempo che passa dal compimento del suo lavoro all’arrivo del camion. Avrei preferito predisporre il tutto nella buia intimità del locale spazzatura, ma non posso correre il rischio che l’addetto del condominio si faccia domande sul peso anormale del mio sacco.
Certo, anche l’operatore ecologico dell’azienda municipale di smaltimento rifiuti potrebbe notarlo, ma mi sembra meno probabile. Soprattutto se l’imballo sarà fatto come si deve. E comunque, per ridurre il rischio al minimo, ho iniziato una dieta ferrea.
Ho preparato le pasticche di sonnifero e la bottiglietta di acqua minerale che mi accompagneranno. Preferisco essere profondamente addormentato quando il sacco verrà gettato fra i denti metallici del camion. Non voglio che un’inutile ripensamento o un improvviso rigurgito di terrore mi facciano urlare.
Il polistirolo ed il cellofan dovrebbero mascherare la natura anomala del contenuto. Non farà freddo e se dovesse piovere, succede spesso in quel periodo dell’anno, ciò tornerà a mio vantaggio perché il peso eccessivo potrà essere attribuito all’acqua assorbita. Poi, sotto la pioggia, gli operai presteranno certo meno attenzione a quel che accade.
Sono una persona corretta, non voglio creare problemi. Ho fatto anche un test per verificare. Sono sieronegativo e non soffro di epatiti. Non contagerò nessuno.

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Chicchi di granturco vagano sul fondo

Detesto questo suono insistente che mi strappa alla tiepida inconsapevolezza del sonno. Mi arrotolo più strettamente nelle coperte e cerco resistere ancora un po’. Poi, per trovare conforto a questo dolore quotidiano, allungo una mano per sentire il tuo tepore.
Le mie dita si perdono sulla superficie fredda del lenzuolo.
Stropiccio gli occhi e accendo la luce. La tua metà del letto è disabitata. Stropiccio gli occhi più forte. Ti chiamo. Farai capolino dalla porta sorridendo? Cerco nell’aria un odore di caffè che giustifichi quel vuoto al mio fianco e intanto rimango seduta, un po’ intontita, a guardare la porta. Da cui non ti affacci.
Appoggio i piedi ancora tiepidi di sonno sul pavimento freddo.
Cammino verso un tuo abbraccio.
La cucina mi da uno schiaffo.
Ricordo perfettamente che ieri sera abbiamo cenato insieme, poi rassettato un poco. Dovrebbero esserci stoviglie ad asciugare sul lavello e le tracce della tua colazione. Dovrebbe esserci un tuo biglietto affettuoso fissato con una calamita a forma di imbuto sulla lavagnetta magnetica, proprio accanto a quello che mi sono lasciata da sola e che dice “non dimenticarti il sale anche oggi, cazzo!”
Sul lavello, invece, ci sono solo alcune scatole vuote di mangime per gatti. Nessuna lavagnetta, nessun biglietto.
Apro uno dei pensili, dopo un caffè tutto assumerà un senso, vero?
Nada caffè. Solo cibo per gatti. Altro stipetto. Altre scatolette baffute. Mi viene da ridere. O questo è un incubo o mi sono svegliata nella vita di Philip Dick.
Il bagno mi da un altro schiaffo.
Lo abbiamo fatto ristrutturare un anno fa, ti ricordi? Dovrebbe essere un sogno di piastrelle celesti. Invece è di un indefinito color cacca di piccione. Quasi tutte le mattonelle sono crepate. Sotto al lavandino un secchio raccoglie le gocce che sfuggono dal sifone. Una gatta bianca e nera che non ho mai visto si arrotola intorno alle mi caviglie miagolando. Torno un cucina e metto una scatoletta vuota accanto alle altre, sul lavello. Di cibo per esseri umani in questa casa non c’è traccia, così come non trovo il mio shampoo profumato, la crema e i vestiti puliti.
Ma la casa è proprio la stessa in cui mi sono addormentata ieri sera. I locali hanno le stesse identiche misure, dalle finestre la vista di sempre.
Solo …
Senti, io non credo proprio di poter andare in ufficio stamattina. Prima devo capire cosa sta succedendo. Non sono poi veramente preoccupata. Una parte di me è convinta che sia solamente un sogno che presto potrò raccontarti. Il tuo sorriso scaccerà l’angoscia. Ma qualcosa mi fa agire come se questa fosse la realtà. Cerco il cordless per avvertire la mia ditta. Influenza? Vada per l’influenza. Cosa potrei dire? “Scusate, non vengo al lavoro perché mi sono svegliata in un’altra vita. Vorrei il tempo per abituarmici, grazie.” Non c’è il cordless. Dopo una lunga ricerca trovo un telefono fisso in un posto dove non è mai stato. Numero …
“Sono la dottoressa Marcotti …”
“Come sarebbe a dire che non sono dottoressa …”
Clik
Urlo fortissimo il tuo nome! Devo dirtelo, capisci? La centralinista della ditta dove sono da anni responsabile dei sistemi informativi dice che io, Maria Grazia Marcotti, ero solo una segretaria prima di… dio, non riesco a dirtelo.
E poi, poi … in questo armadio malridotto non ci sono i tuoi vestiti.
Dove sei?
Dove sei?
Perché non ci ho pensato prima? Ti chiamo sul cellulare!
Una voce mi dice che il numero è inesistente. Inesistente?
Dove sei?
Nella mia borsa, il mio cellulare. Mi avrai certo mandato un messaggio…
La mia borsa…
Dove sarà finita…
Trovo un affare di finta pelle marrone. Dio, non comprerei mai una schifezza del genere. Non importa, cerco il telefono. Trovo solo un vecchio portamonete con pochi euro, un fazzoletto di carta usato e … dei chicchi di mais.
Dove sei?
Mi lascio cadere sul pavimento che dovrebbe essere coperto da una soffice moquette blu e non da queste vecchie mattonelle.
Dove sei?
Telefono. Numero.
“Claudia, Claudia, autami…”
“Grazia, dio, Claudia, mi conosci da sempre”
“non puoi aver dimenticato…”
Clik.
Ha detto che ricorda vagamente che eravamo compagne di scuola ma non mi ha più vista da quando ho interrotto gli studi. Dove sei, dove sei tu che c’eri quando ho discusso la tesi, tu che hai fotografato il bacio che ha accompagnato la lode.
Dove sei?
Dove sei?
Rimango a lungo seduta per terra, con la testa fra le mani. La gatta si accoccola accanto a me senza toccarmi. Solo ora, tormentandomi le dita, mi accorgo che non indosso l’anello che mi hai regalato.
Basta! Questo è un incubo. Adesso basta!
Mi vesto con quello che trovo. Lo specchio mi rimanda un’immagine che mi somiglia un po’.
Nell’androne la custode di sempre.
La saluto sorridendo, come ogni mattina. Lei rimane in piedi come inebetita guardandomi passare.
“Alice! Cosa le prende, ho qualcosa che non va?”
“…”
“Via, che succede?”
“Ma tu …” (perché mi da del tu?) “tu … non avevo mai sentito la tua voce”
Scappo fuori. Ma non so dove andare. Non so cosa fare.
Cammino.
Cammino.
Le panchine dei giardinetti mi sembrano invitanti.
Mi lascio cadere su quella più isolata e sento la mia voce che ripete piano, ritmicamente, in continuazione il tuo nome.
Dove sei?
Non riesco più a pensare.
Le mie mani, le mie mani si muovono da sole.
Aprono la borsa e prendono i pochi chicchi di granturco che vagano sul fondo. Li lasciano cadere a terra ad uno ad uno.
Guardo i piccioni che si avvicinano, io che ho sempre odiato i piccioni. Sento la mia voce. La mia voce che parla con loro.

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Ho perso una storia

E’ una cosa successa tanti anni fa. Tanti. Le storie sono strane. Crediamo di inventarle ma non è così.
Io avevo scritto una storia. Un racconto. Ero e sono tuttora convinta che fosse la cosa più bella che avessi mai scritto.
Ma non aveva una fine.
Raccontava una partenza e una corsa. Una via di mezzo tra una ricerca e una fuga. Perché questo è la mia vita. A tratti mi fermo per controllare se ho trovato quello che sto cercando e poi, poi ricomincio a scappare.
Ero ancora così giovane da credere che la storia di un viaggio dovesse concludersi con un arrivo. E non potevo scrivere dell’arrivo perché avrebbe voluto dire narrare la mia morte. E questo va al di là delle capacità di una ragazza di sedici anni.
Eppure, ancora adesso io so che quella è la cosa più bella che io abbia mai scritto.
Era scritta a mano, quella storia. Fogli di carta azzurrina e stilografica blu. Usavo solo fogli di carta azzurrina, a sedici anni. E solo stilografiche blu. Di quelle da pochi soldi, che lasciano le macchie sulle dita, che perdono inchiostro nella borsa. Che ti piantano in asso proprio nel momento del bisogno con un pennino contorto o una cartuccia vuota.
Era scritta a mano e ne avevo una copia soltanto e nessuno, nessuno, l’aveva letta mai.
Copiavo in un libretto tutte le mie storie e le mie poesie. E’ ancora là, nel ripiano più alto della mia libreria. Tutte le mie storie ma non quella, perché aspettavo la fine.
Poi, il tempo, la polvere, la pioggia, il dolore mi hanno fatto dimenticare che esistono le storie. E scrissi solo parole. Frammenti di suoni. Dimentichi del sapore della frutta matura. Su quaderni a quadretti con la spirale. Traducevo in parole le lacrime.
Avevo un amore, allora. E’ passato tanto tempo. Avevo un amore strano.
Abitava nella mia casa ma non abitava con me. Mangiava alla mia tavola ma non mangiava con me. Dormiva nel mio letto ma non faceva l’amore con me. Mi scopava, a volte, e non è la stessa cosa. Avevo un amore straniero che mi parlava senza guardarmi negli occhi e non sapeva il mio nome.
E fu alla fine di quell’amore che persi la mia storia.
Lui era tornato nella mia casa. Io no. Io ero altrove. Lui era tornato nella mia casa per riprendersi le sue cose e invece ha violato i miei quaderni con la spirale.
L’ho trovato, la sera, con un quaderno in mano e gli occhi pieni di lacrime.
“Non credevo che tu sapessi scrivere”.
Non ho risposto. Non ho richiuso la porta. Ho portato fuori le sue cose. Ho atteso che andasse via. Poi ho cercato la mia storia, la cosa più bella. Che lui non aveva trovato.
Ho preso una stilografica blu e foglietti di carta azzurrina. L’ho copiata in bella scrittura. L’ho messa in una busta. Ci ho scritto il suo indirizzo. Ho attaccato un francobollo. Ho spedito la busta. Sono tornata a casa e ho rovesciato un bicchiere d’acqua sui foglietti antichi, quelli dei sedici anni. E le parole sono diventate per sempre lacrime.
Non ho fatto apposta a rovesciare il bicchiere.
Non ho fatto apposta a sbagliare l’indirizzo.
La mia storia è svanita per sempre, per sempre mutata in lacrime.
Ne rimangono solo poche frasi intrappolate nella mia memoria.
Non ho mai avuto il coraggio di incastonarle in altre storie.


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Ma io non ho sentito la sua voce!
Cronaca di un raduno naufragato nei gorghi di acqua scura del Naviglio

Ogni riferimento a fatti realmente avvenuti o a persone realmente esistite è assolutamente volontario.

Appuntamento alle ore 20. Davanti all’osteria del Pallone, che sia un simbolo?
Io no, non sono nel pallone, mai! Ho una memoria inossidabile, (di pastafrolla, avete mai visto ossidarsi la pastafrolla?) e solo poche ore prima ho fatto la mia bella figura da ciccolataia dicendo a Luca per telefono: “Sono felice di conoscere finalmente tua moglie”. L’avevo già conosciuta... già. Inossidabile! Avevo avvertito tutti i partecipanti che sarei arrivata in ritardo, infatti alle 19.25 sono in loco. Me la prendo comoda, battendo i denti e tremando come una foglia, mentre lascio che il mio sguardo si perda nei gorghi dell’acqua scura del naviglio. Faticherò a ritrovarlo, lo sguardo, perché, come mi farà notare Giorgio qualche ora dopo, i navigli sono stati svuotati da mesi.
Fortunatamente alle 19.50 scorgo Luca&Signora. Non so perché, ma ho l’impressione di averla già vista da qualche parte... ah, già, l’avevo già conosciuta.
Aspettiamo, pazienti e tremanti, mentre Luca mi sottopone a un fuoco e fila di domande che non ricordo assolutamente. Vertono su Lisa, mi pare. La naufraga sconosciuta. Non lo confesserò mai a nessuno, ma abbiamo fatto il TotoLisa, Ida ed io.
“Tu come la immagini?”
“Piccola e scura”
“Ma, dalla voce secondo me non è piccola”
“Ma io non ho sentito la sua voce”
“Vedremo, ma secondo me non è piccola, proprio non ha la voce da piccola”
“Ma io non ho sentito la sua voce”
“Ha davvero una voce molto bella”
“Ma io non ho sentito la sua voce!!!!”
Cellulare.
“Arancia!”
“Giorgio!”
“Dove sei?”
“Nel pallone.”
“Siamo in macchina (seguono indicazioni). Una Renault con quattro ruote motrici.”
Mi faccio seguire da Luca&Signora fino al luogo indicato, dove tento disperatamente di sollevare le auto per vedere quali hanno 4 ruote motrici. Dovrebbero girare in un modo diverso, no?
Finalmente mi salva la visione delle chiome lussureggianti di Ida. Lei e Giorgio scendono sorridenti dalla macchina. Radiosi come solleoni. E Giorgio, nonostante quello che ci ha raccontato, ha tutti e due gli occhi e nessun pappagallo sulla spalla. Sbaciucchiamenti. Saliamo insieme in macchina per raggiungere il locale dove ci attende Lisa. Luca ci guida verso un “posteggio sicuro fino alle 21”. Con voce tremante Giorgio domanda cosa accadrà all’auto dopo le 21. Incuranti di ciò, anche se siamo dalla parte opposta di Milano, lasciamo l’auto in solitaria meditazione accanto ai gorghi dell’acqua scura del naviglio. Che non c’è, ma io non me ne sono ancora accorta.
Giorgio cammina sulle ginocchia per conversare col dotto Gandolfi, Ida ed io ci confidiamo i sintomi del nostro essere costantemente nel pallone. &Signora (e togliamola dall’anonimato, si chiama Grazia ed avrà poi un ruolo di rilievo!), un po’ si affianca a noi e un po’ a loro. Lisa sì che è puntuale. Un taxi accosta nell’istante preciso in cui raggiungiamo il ristorante. Ma non aveva una figlia di vent’anni? Ah, ho capito, ha mandato la figlia! Lei dorme sul divano sentendosi in colpa!
Vedo le labbra della supposta Lisa (non è lei, è la figlia!) muoversi, ma non avverto alcun suono. Fa niente, la bacio, intanto mi chiedo perché, se è il mio sguardo ad essersi perso, io non sento niente.
Lisa è più alta di me, ma è così minuta che potrebbe sembrare piccola. E’ più chiara di me, ma così abbronzata da sembrare scura. Mi illudo di aver vinto il TotoLisa, anche se non ho sentito la sua voce.
Ci accomodiamo. Giorgio si fa portare subito impacchi di ghiaccio per le ginocchia, Luca chiede le guide del telefono per non sentirsi in stato di inferiorità. Io mi domando se è possibile chiedere un apparecchio acustico.
Una tavolata per sei persone non è tanto lunga, tra me e Lisa siede solo Ida. La vedo (Lisa) intenta in una conversazione fitta fitta con Giorgio e mi protendo, trascurando un po’ &Signora, per cogliere qualche frase. Niente! Non sento la sua voce. Intanto Luca rovista in tutte le tasche che ha, nella borsa della moglie, sotto al tavolo, perfino sotto i piatti, fino a che, finalmente, trova un immenso sacchetto (ma come faceva a non trovarlo?) da cui estrae tre copie dell’ultimo libro del Vicchio di cui ci fa dono. La sfoglio distratta, le orecchie protese. Niente! Non sento la sua voce! (non del Vicchio, di Lisa.)
La serata si snoda tranquilla, rievocando ricordi Naufragati. Luca fa da mattatore. Catalizza l’attenzione con i suoi racconti brillanti fino a che... (ma io continua ad essere distratta, oramai ho le orecchie più lunghe di una lepre, ma non sento la sua voce!!!) il discorso cade, non si sa come, sui parquet! Grazia si illumina d’immenso! Scopriamo che è una collezionista di parquet antichi, che ha già raccolto ben milleseicentotretadue sale paquettate con milleseicentotretadue tecniche differenti. Credo, almeno, abbia detto questo, perché io sono sempre protesa verso le labbra di Lisa che si muovono senza produrre alcun suono. Almeno per me. Perché, inspiegabilmente, Ida e Giorgio le rispondono. Ma quando Grazia inizia, con grazia, a raccontarci delle diverse tecniche di trattamento per parquet antico, tutti tacciono estasiati. Lo deduco da fatto che le labbra di Lisa stanno ferme.
Non mi dilungherò ulteriormente. Cibo ottimo, vino meraviglioso, compagnia deliziosa. Il tutto rovinato appena da un vago senso di inquietudine: che io soffra di una rara forma di sordità selettiva?
La serata si conclude accanto alla macchina, quella con quattro ruote motrici, che, benché siano passate le 21, è ancora incolume e non ha smarrito i fari nei gorghi di acqua scura del naviglio. Se ne è accorta, lei, che l’acqua non c’è!
Il mattino dopo prendo appuntamento per un esame dell’udito, poi telefono a Ida per carpirle qualche informazione su Lisa.
“E’ simpatica, vero? E ha una voce così bella!”
Cosa posso dire? Io non ho sentito la sua voce!!!!!!

(Lisa risponde...)

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