Doppio Misto

Tre parole, un punto esclamativo
di Pikkina (poesia di Francescso)

Angelica è seduta da ore davanti alla finestra del piccolo studio. Guarda i pini marittimi bruciacchiati dal sole estivo e dalla salsedine che costeggiano il viale sterrato, osserva le evoluzioni degli uccelli che entrano e escono, con voli precisi dalle chiome ad ombrello un po' diradate. Guarda e aspetta.

Le arrivano attutiti i suoni del cortile, il ronzio del tagliaerba ed il latrato di Oliver, che rincorre il giardiniere nel tentativo vano di attaccare e sconfiggere quel marchingegno che lo terrorizza. Ascolta e aspetta.

Il sole di settembre attraverso i vetri chiusi le scalda le spalle, e lei assapora questo dolce calore, sorbisce la luce dorata del primo pomeriggio, e aspetta.

È seduta immobile, statica e pesante, come se il suo corpo fosse stato momentaneamente abbandonato lì da un'anima vagabonda che se ne è volata via seguendo il filo di quei pensieri che dalla sera prima non le danno tregua.

Si, la sera prima, quando ha risposto al telefono distrattamente ed un attimo dopo le si è bloccato il respiro. "Buona sera Angelica, sono Andrea." Andrea, solo Andrea. Non un cognome, non un "ti ricordi?". Solo Andrea. Dopo ventotto anni. Solo Andrea. Davvero, non c'era bisogno di altro. Un nome come un figlio lontano, un suono che ha continuato a vivere dentro di lei a sua insaputa, e che ha riconosciuto subito da quel tratto inconfondibile che lei stessa le ha trasmesso. E improvvisamente non sembra passato che un istante da quell'ultima frase: "stai con lei!". Tre parole, un punto esclamativo: un consiglio, una constatazione, un rimprovero, un ultimo disperato tentativo. Un grido di aiuto. Da lui raccolto e tramutato in un silenzio lungo quasi tre decenni, con un'abile e crudele alchimia. Un silenzio al quale non hanno osato mai gridare addosso un rifiuto, entrambi sottomessi ad un destino al quale nessuno dei due ha mai creduto, ma che entrambi credevano di meritare.

Divina era la bellezza, umana la fragilità, morbosa la necessità di quei pochi momenti, impossibile non soccombere al terrore di perderli. Le loro emozioni erano un unico fiume senza argini, la loro attrazione inevitabile e naturale e non ci si poteva opporre. Se non con un addio. Un addio mai pronunciato, silenzioso.

Andrea sosteneva che la vita non è che un susseguirsi di eventi, un tessuto di fatti e coincidenze intrecciati in modo tale che noi stessi, che li abbiamo voluti e creati, alle volte non siamo più in grado di sbrogliarli.

Angelica aveva ventidue anni quando conobbe Edoardo. Lui era un uomo amato da tutti e dalle innegabili virtù. Intelligente, assai più della media, elegante e distinto. Lei lo travolse con la sua freschezza, la sua intuitività, i suoi modi raffinati, ma estremamente naturali, la sua bellezza discreta. Lui se ne innamorò profondamente, la volle con tanta determinazione e la conquistò dopo un corteggiamento assiduo, sebbene mai eccessivo. Erano due anime profondamente diverse unite dal comune bisogno di migliorarsi, bisogno che riuscivano a soddisfare reciprocamente nell'imitare i pregi dell'altro. Edoardo era un meraviglioso pianeta rivelato agli altri mondi dalla luce riflessa dalla sua donna. L'esuberanza, l'istintività di Angelica trovavano una forma, senza annullarsi, nella perfetta razionalità del suo uomo, nella sua capacità di valutare le situazioni, nella sua padronanza di se stesso.

Quando incontrò Andrea per la prima volta era fidanzata da tre anni e non poteva neanche immaginare che ci potesse essere da qualche parte nel mondo un uomo capace di distrarla dal suo Edoardo.

Andrea stava preparando la tesi per la sua laurea in filosofia quando fece la conoscenza, al circolo del tennis, del padre di Angelica, il quale era stato titolare, fino a qualche anno prima di una cattedra di storia della filosofia antica. Avendo in casa una biblioteca molto fornita ed essendo lui stesso autore di diversi trattati, invitò il ragazzo a recarsi da lui un paio di volte alla settimana, per consultare i testi che gli occorrevano ed approfondire insieme gli argomenti più ostici.

Andrea arrivava poco dopo l'ora di cena, si intratteneva qualche minuto con la famiglia, il tempo di un caffè. Poi lui e suo padre si chiudevano per ore nello studio. Angelica non aveva mai visto di buon occhio gli studi classici. Soprattutto per un uomo. Il mondo si era evoluto e la società chiedeva a gran voce avvocati, ingegneri, dottori. Pensava che quel povero ragazzo stesse sprecando il suo tempo per qualcosa di stantio, per studi polverosi e vecchi. Ne nacque una discussione con suo padre e lui, che sebbene sicuro dei suoi punti di vista non amava imporli, le chiese di partecipare per un breve periodo alle loro conversazioni.

Così Angelica prese ad unirsi ai due uomini nello studio e li ascoltava dissertare su cose astratte, volatili, ma piuttosto affascinanti. Andrea era piacevolmente estroverso. La coinvolgeva senza darle mai la sensazione che lo facesse per pura cortesia. Era interessato ad ogni sua parola anche se lei era evidentemente ignorante in materia. "A mio parere, in filosofia le riflessioni di un profano sono spunti molto interessanti " le diceva sempre. "In fondo la filosofia non è che la ricerca di una formula che spieghi l'inspiegabile, ossia il mondo e l'animo umano e forse un soggetto puro, non influenzato da teorie lette sui libri, può rivelare punti di vista che nessuno ha mai preso in considerazione." La guardava negli occhi e Angelica si sentiva invasa da un'energia nuova. Si sentiva al centro di un nuovo universo.

Edoardo non ne faceva parte. E non sembrava venirne intaccato. Ma alle volte le appariva ridimensionato. Le capitava di sentirsi stretta nel suo vecchio universo. Di sentire nel suo profondo un fuoco che lì non veniva alimentato.

All'inizio dell'estate suo padre dovette allontanarsi per lavoro. Ma Andrea venne lo stesso, dopo cena, con indosso uno sguardo più dolce. Angelica lo aspettava. Disse che doveva consultare dei testi. Chiese ad Angelica di accompagnarlo. Chiusero il mondo fuori dalla porta dello studio. Lui le prese il viso tra le mani e la baciò.

Angelica non si chiese nulla. Si incamminò consapevole su un cammino di cui conosceva il punto di arrivo, sebbene non ne conoscesse ogni svolta. Si lasciò guidare dall'istinto e da lui, dalle sue mani buone, dai suoi occhi intensi, dalle vibrazioni che avvertiva. Non si oppose a nulla, non si preoccupò del giudizio di nessuno e tantomeno di quello di un uomo che sembrava conoscerla nei suoi più profondi anfratti e che non avrebbe mai frainteso. Anime e corpi gemelli. Inghiottì nel più profondo e oscuro luogo del suo animo i sensi di colpa. Edoardo era ancora meraviglioso. Era una colonna, era la sicurezza di fare bene e di essere amata con costanza. Ma a quel rapporto tanto solido mancava la passione, la gioia. Angelica era un fiore ed Edoardo era la terra dalla quale prendeva il nutrimento ed alla quale era legata da un vincolo di vita. Andrea era il sole, la rugiada, la dolce brezza primaverile. Senza di lui non si sarebbe mai dischiusa.

Si convinse che nessuna passione, se costretta in un una presenza scontata e costante, poteva resistere in vita. Volle preservarsi da ogni possibilità di fallimento, da ogni vincolo di appartenenza. Diede al suo rapporto con Andrea una valenza di sogno. Chiudeva gli occhi con lui e si risvegliava solo quel tanto che bastava per portare avanti la vita reale.

Poi un giorno vide la futura sposa di Andrea. Quella donna di cui conosceva l'esistenza, ma che fino ad un momento prima era stata per lei una leggenda, un nome legato a quello di Andrea come due parole in rima. Di lei mai si era parlato, perché nulla c'era da dire. Ma quell'ombra si rivelò reale, umana. La vide, appoggiata al suo braccio, sulla terrazza del circolo di tennis, piccola e bionda, una piantina rampicante aggrovigliata ad un tronco. Non riuscì ad odiarla, la vide debole, la avvertì indifesa. E sentì che Andrea le veniva strappato via, non da quel piccolo arbusto, ma dalla vita, da quel susseguirsi di avvenimenti di cui lui tanto parlava, dall'ordine delle cose. Da quell'ordine cui la filosofia tentava di dare un senso che lei non riusciva e non voleva conoscere. Andrea la amava e lei amava lui. Lo amava da adolescente, lo amava da incosciente. Su questo non aveva dubbi. Come non ve n'erano che lei avrebbe sposato Edoardo e lui quella donna gracile che cresceva più forte col sostegno del suo amore.

E nel filo dei pensieri di nuovo si insinua quell'ultimo disperato tentativo di risveglio: "stai con lei!".

Si alza dalla sedia, riprende il suo corpo.

Si copre con uno scialle, esce di casa, si avvia verso la spiaggia.

C'è vento, i capelli le coprono il volto. Si accovaccia sulla sabbia appena tiepida, è una bambina di cinquantatré anni che pensa alla sua vita. È una bambina, mani sulle orecchie, conchiglie socchiuse ad evocare l'onde di una vita limpida e fredda, a rimestare ricordi, abrasi dall'arenile autunnale, ma ancora testardamente vivi.

Non c'è più Edoardo. Lui le dava la vita e, ironia della sorte, la morte se lo è portato via tanto presto. E vorrebbe custodire la sua anima in una teca dorata, vorrebbe essere capace di posargli accanto il suo cuore e le reliquie della loro felicità. Ma le sue palpebre chiuse sono un sipario calato su scene di noia. E le sue lacrime sono sensi di colpa, sono rimpianti.

Andrea le arriva alle spalle. Lei lo sente, sussulta nel cuore, ma rimane immobile. Sente il suo corpo riempirsi di vita. Poi si gira lentamente, lo osserva. Riprende confidenza con quel corpo ossuto, quel volto intenso. Giusto il tempo di spolverare via la patina degli anni. Il vecchio alchimista lavora quel silenzio infinito, lo trasforma in gioia. La fa esplodere in un abbraccio che mai ha avuto inizio e mai avrà fine. Gli eventi ancora una volta si sono susseguiti, i momenti si sono avvicendati, sono iniziati e si sono conclusi. C'è poco da dire. Come quell'addio mai pronunciato, anche il ritorno non sono che tre parole ed un punto esclamativo "stai con me!".