1) "Rue d'Enfer"
2) "Affaccia bedda"
3 ) "Grande strada di Philadelphia"

4) "Lettera dall'inferno"
4 ) "Era una bellissima giornata"

6) "Inferno nelle viscere"
7) "L'inferno dentro"
8) "Lo specchio dell'anima"
9) "L'ubriaco"
10) "Selena"
 
 

 

 

 

"Inferno"

Selena
(L’inferno è un luogo comune)

di ...

All’epoca non capivo perché tutti nel villaggio dicessero che era una grande fortuna per Luisa essere grassa, quello che ora so, è che se fosse stata magra la nostra vita sarebbe stata diversa.
La storia forse incominciò molto prima, quando mio padre morì, lasciando a mia madre una casetta, due galline, quattro monete d’argento e l’invidiabile posizione di donna libera. Ma io attribuisco la colpa di tutto ad Anna, e Anna non sarebbe mai entrata nella nostra casa se Luisa fosse stata magra.
Quel giorno Luisa andò a cercare legna lungo il sentiero del lago. Tornò alcune ore dopo, un po’ meno grassa e con le braccia vuote.
Fu allora che arrivò Anna. Rossa, urlante. Adagiata tra le erbe officinali che mia madre, come sempre, avrebbe appeso a mazzetti alle travi del soffitto.
Per molti giorni, nel villaggio, la gente parlò della passeggiata di Luisa e di quella di mia madre. Perché la luna era calante, e non era il tempo giusto per raccogliere salvia e maggiorana. Eppure quella sera mia madre prese il canestro e si avviò lungo il sentiero.

Dormivo profondamente quando Giovanni, il maniscalco, venne a chiamare mia madre.
“Corri, Elena, corri, Luisa ha le febbri e sta morendo”
Ricordo che, mentre mia madre sceglieva scatoline dallo scaffale, lui non riusciva a staccare gli occhi dalla cesta e dalla bambina.
“Non avresti dovuto farlo, Elena, il destino deve seguire il suo corso”
“Se così fosse, il destino di Luisa sarebbe quello di morire in un lago di sangue!”
Ma Luisa non morì. Mia madre la curò con infusi di corteccia di salice e con compresse di una muffa che solo lei sapeva riconoscere.
“Guardala bene”, mi diceva sempre. “Questa muffa, solo questa, guarisce le infezioni. Quella comune peggiora le febbri. La devi raccogliere quando la luna è esattamente al primo quarto e devi lasciarla per quattro notti ad assorbire la luce delle stelle. Ricordatelo, Michele”. Ma mia madre sapeva che io non avrei imparato la sua arte da femmina. Forse fu per questo che raccolse Anna.
Luisa non morì.
Mia madre sacrificò una moneta d’argento per comprare una capra e Anna fu presto meno rossa e meno urlante.
Luisa non morì, ma non ci guardò mai con affetto.
Ricordo il suo viso premuto contro la finestra ogni volta che qualcuno chiamava: “Elena, Elena corri!”
Il parto difficile di donna Marzia (semi di papavero, Michele, ricordatelo, aiutano a sopportare il dolore)
Il dito tranciato del falegname. (Compresse di tela di ragno. Fermano l’emorragia, cicatrizzano)
La gola piena di pustole gialle della piccola Chiara. (Questa volta, Michele,. la muffa la deve mangiare. La impasto col miele, vedi?)
“Elena, Elena, corri”
E Anna balbettava dalla soglia di casa “Elèna, mama Elèna”
Così, per un gioco da bambina e forse anche per l’abitudine di mia madre di regolare ogni gesto sui cicli della luna, tutti presero a chiamarla Selena.
Questo non cambiò le cose di molto. Forse perché i cambiamenti avvengono raramente di colpo. Maturano in lente sfumature.
Mentre Anna cresceva ed accompagnava mia madre nei boschi, la gente del borgo continuava a chiamare Selena per ogni impiccio quotidiano.
Il primo segno evidente del cambiamento venne proprio da Luisa, che in cambio di un’erba da mischiare al pastone delle galline malate, donò a mia madre venti noci nuove. Allora non capii perché mia madre piangesse.
“Ci sono cose che non si pagano, Michele.” Mi disse. E regalò le noci.
Fu una cosa lenta, ma a poco a poco la gente smise di gridare “Selena, Selena corri!” Arrivavano portando pane, frutta, uova, lana e raccontavano, come per caso, che il figlio era malato o che la capra non dava più latte.
Mia madre correva! E piangeva. “Questi doni porteranno cattiveria, Michele”.
Mi proibiva di mangiare i dolci ricevuti per il morbillo di Luca (corteccia di salice per abbassare le febbri. Impacchi di menta sulla pelle), poi andava a trovare Angela e i suoi bambini che non avevano capre né galline. “Ci sono cose che non si devono pagare, Michele, perché sono di tutti. Perché chi non ha di che pagare possa chiedere lo stesso.”

Una volta ero io ad accompagnare mia madre nel bosco nelle notti del passaggio. Quando le stagioni sfumavano lentamente una nell’altra. Io dormivo avvolto in una coperta. Lei sedeva sotto la quercia bevendo un brodo di miele, vino e segale cornuta. (*)
“Non posso farti bere questa zuppa, Michele. E’ una ricetta segreta che mi ha insegnato la nonna. Se tuo padre non fosse morto, un giorno anche io avrei avuto una figlia a cui insegnarla. Se la primavera vedesse un ragazzo con me, avrebbe paura a seguirmi. Ho paura del futuro, Michele, di quando al villaggio non ci sarà più nessuno che possa andare incontro alla primavera per ricondurla qui. Potrebbe perdersi e non tornare mai più e il mondo diventerebbe un inverno perpetuo di freddo e carestia.”
Anche io avevo paura. Paura che lei non tornasse da quell’altro mondo di cui mi raccontava. Aspettavo il giorno in cui sarebbe stata Anna ad andare incontro alla primavera ed io non avrei più dovuto temere un mondo privo della voce di mia madre.
Ma c’erano rituali più allegri e molto più utili ai miei occhi! Come la raccolta del miele. Bisognava che la luna fosse nuova. “Le api sono molto più tranquille quando la luna si nasconde, Michele.” Aiutavo mia madre a trasportare fasci di legna fine e secca. Avremmo raccolto sul posto foglie umide e muschio. “Il fumo deve essere denso e freddo, Michele. Dobbiamo solo calmare le api, non ucciderle. Vuoi trovare ancora miele la prossima volta, vero?” Poi, solo mia madre si avvicinava al favo e rubava miele e cera. E non sempre ne usciva del tutto illesa! Ma a me il miele piaceva molto ed ero sollecito nell’imparare e nell’aiutarla. Il guaio lo fece proprio Anna, che un giorno buttò sul fuoco una bracciata di foglie molto secche. Ci fu una gran fiammata. La veste di mia madre prese fuoco. La vidi agitarsi. Poi rotolarsi nell’erba per spegnere le fiamme. Fui rapido a gettarle addosso del muschio bagnato e tutti ridemmo. Tranne le api, forse. Ma io vidi il volto di Luisa tra i cespugli.
Quella sera, al villaggio, la gente parlava.
“Selena va nei boschi a danzare danze selvagge intorno al fuoco”.
“Selena? La nostra Selena sempre pronta a dare una mano?”
“Luisa l’ha vista. E porta con sé anche i bambini. Sarebbe meglio portarli via, si sa cosa fanno le streghe ai bambini!”
“Zitta, non sai cosa dici! Selena una strega? Ma no! Luisa ha il dente avvelenato da quando Elena ha salvato la piccola Anna. Non sopporta di vedesi davanti la sua vergogna. E crede che sia per questo che nessuno l’ha chiesta in sposa”
“Ma se Selena le ha salvato la vita!”
“E chissà con che arti! Erbe magiche, riti alla luna, la primavera da riaccompagnare nel mondo! Non sono cose da buoni cristiani.”

Da quel giorno i doni iniziarono a materializzarsi davanti alla porta di casa durante la notte, anonimi, e la gente, quando incontrava per strada mia madre e la piccola Anna, abbassava lo sguardo. Anche Angela e i suoi bambini smisero da accoglierla a braccia aperte.

Giovanni, una sera, ci venne a trovare.
“Elena, lo sai che ti voglio bene, che ti ho sempre voluto bene, ma tu la devi smettere con le tue erbe. Si stanno diffondendo voci cattive e io non ti posso più difendere. Forse non potrei nemmeno se tu accettassi finalmente di sposarmi”
“Lo so. - mia madre era seria, non avevo mai visto i suoi occhi così scuri –
Non faccio altro che quello che mia madre e mia nonna hanno fatto prima di me. Volevo che anche Anna un giorno potesse proteggere il villaggio. Ma c’è un ombra cattiva e non so come mandarla via! Prendi Michele, lui è solo un ragazzo! Proteggi lui.”
Giovanni mi condusse con sé. Mia madre, prima di lasciarmi andare, mi strinse forte.

Fu allora che scoprii che l’inferno è un luogo comune. Comune come può essere un borgo di buoni cristiani.
Le gente si fermava spesso a parlare con Giovanni e l’unico argomento di conversazione era mia madre, la strega.
“La mucca non dà più latte, stasera lascerò un galletto morto a Selena. Magari si placa e mi toglie il malocchio.”
“Zitto, che il ragazzo ti sente”
“E che importa? Meglio che sappia chi è sua madre!”
“Avete sentito cosa è successo a Pietro? Il temporale di stanotte ha fatto crollare un ramo grosso dal castagno. Il tetto della sua casa è sfondato!”
“E’ perché ha stava pensando di sposare Luisa. Lo sanno tutti che Selena odia Luisa”
“Certo, è stata lei a provocare la sua gravidanza illegittima, per rubarle la figlia e avere qualcuno a cui tramandare la sua arte. Luisa mi ha raccontato di come Selena la fece possedere dal demonio. Se non ha parlato prima è stato solo perché aveva paura”
“E allora perché mai le ha poi salvato la vita?”
“Come possiamo conoscere cosa gira per la testa di una strega?”

Andavo da mia madre di notte, di nascosto. Mi intrufolavo nel suo letto e piangevamo insieme. Ma l’inferno ci mette poco a insinuarsi nel cuore. Così una notte le chiesi perché facesse così tanto male alla gente. Mi guardò a lungo e non mi rispose.
Urlai. Buttai per terra le sue erbe. La colpii. Niente. Lei nemmeno piangeva più. Mi guardava e basta.
Quella fu l’ultima notte che andai a trovarla. Passai molte altre notti, lunghissime, a tentare di scacciare dal mio cuore la nostalgia per la donna che era stata mia madre.

Giovanni si ammalò. La strega venne. Cercava i miei occhi con gli occhi. Siccome non le sorrisi, mise nelle mie mani un cestino. Presi dalla dispensa due uova e glie le diedi. Appena se ne fu andata, bruciai il cestino.
Giovanni morì.
Vidi la strega spiare la sua sepoltura.
Quella notte provai a dare fuoco alla sua casa. Ma il demonio mandò la pioggia.

Il mattino dopo Luisa entrò nella casa di Giovanni. Prese il mio materasso e lo portò nella sua camera.
Quando mi prendeva tra le braccia, di notte, a volte mi sembrava che il nodo di ghiaccio che mi abitava il petto si sciogliesse un po’. Poi, lei iniziava a raccontarmi l’orrore. Il terribile incubo che mia madre le mandava ogni notte e da cui aveva concepito il piccolo mostro.
“Michele, ringrazio il cielo di essere così grassa. Se fossi stata magra non avrei potuto nascondere la gravidanza. Ho provato, sai, a distruggere il male. Ho seppellito la bambina nel bosco. Ma la strega è andata a riprendersela.”
E il nodo si faceva più freddo. E mentre Luisa russava, cercavo di scacciare il ricordo della voce di chi credevo fosse stata mia madre.
Poi, poi, ecco il suono di quelle risate, di quando ancora il petto era caldo e il miele dolce. Il fuoco! Il fuoco avrebbe sciolto il ghiaccio per sempre. Scacciato il male.

Non ci volle molto a convincere gli altri ad aiutarmi. Certo, qualcuno ancora credeva che “no, la nostra Elena non può essere una strega”.
Ma quasi tutti mi aiutarono. E gli altri si chiusero in casa.
Ero davanti a tutti quando andammo a prenderla. All’inizio non oppose resistenza. Probabilmente pensava che il demonio avrebbe mandato ancora la pioggia. Si ribellò solo quando le dissi che doveva portare anche il mostro.
Ma noi eravamo in molti e la trascinammo via. Lei e l’orrenda figlia di Satana.

Luisa era accanto a me mentre il fuoco le divorava. E rideva. Tutti ridevano, felici di aver stanato chi portava la sfortuna ai raccolti e la febbre ai bambini.
Io ascoltavo il mio petto, aspettando che il ghiaccio si sciogliesse.



(*) Nda: Esistono studi che considerano il fenomeno della stregoneria europea come un residuo di antichi rituali dedicati alla Grande Madre. Prendendo spunto da questo, ho attribuito alla mia protagonista un’interpretazione popolare dei Misteri Eleusini. Per chi fosse interessato, allego un breve articolo sull’argomento, la cui lettura è assolutamente facoltativa.

L’uso della Claviceps Purpurea nel culto agrario-eleusino di Demetra
Il culto dedicato alla Dea Demetra è famoso soprattutto nei riti agrari dei Misteri di Eleusi. In quest’antica città dell’Attica, a poche decine di chilometri da Atene, presso il tempio dedicato a Demetra, da DaMeter, dove Da sta per gea, ossia la Grande Madre Terra, divinità riconosciuta come simbolo di fecondità agraria, conosciuta come Cerere presso gli antichi romani, si svolgevano e si seguiva la ritualità in onore di Persefone, figlia di Demetra e dea degli inferi.
Intorno ai Misteri eleusini, la tradizione non ci ha tramandato il contenuto che i sacerdoti svelavano solamente a pochi intimi, ma si può ben dire che la misteriosità di questi riti era la base della visione dualista del mondo (materia e spirito) che gli antichi greci avevano nella propria filosofia, che poi costituiva il loro stile di vita esistenziale.
Il ciclo rituale del culto era abbastanza lungo ed era suddiviso, fondamentalmente, in due grossi momenti: in Autunno e in Primavera, momenti questi che nel mondo agricolo segnavano, come ancora oggi, le attività di semina e di raccolta dei cereali.
La ritualità consisteva nello svelare i Misteri, racchiusi fra la vita e la morte dell’individuo. Per questo motivo l’allegoria classica consisteva nella metafora del seme che interrato, giaceva per lunghi mesi prima di giungere ad una nuova rinascita per poi morire, nuovamente, attraverso la raccolta delle piante fruttificate che poi ridiventava nuovamente seme.
Questo inevitabile ciclo vegetativo, accrebbe la religiosità agreste, che nei Misteri eleusini, raccolse la migliore rappresentazione del mistero umano. Gli antichi greci, già famosi per le rappresentazioni drammatiche (Pathos) offrivano, tramite il ciclo naturale della germinazione, un vissuto religioso a sfondo esoterico, con processioni, cerimonie e catalessi di sacerdoti.
Uno degli elementi famosi delle attività rituali era l’assunzione di una bevanda il Ciceone (KIKEON). Tale liquido, sembrerebbe essere composto di numerosi elementi naturali come: orzo, miele, vino, acqua e formaggio e la segale cornuta. Ognuno di questi elementi possedeva una propria simbologia rituale e faceva riferimento alle numerose divinità panteistiche. Circa la segale cornuta, sembra oggi accertata la sua presenza, fra gli ingredienti del Ciceone, poiché è un infestante molto presente nei campi di grano e orzo e comunque sicuramente nasceva spontanea nei pressi del tempio dedicato a Demetra.
L’odierna ricerca ha appurato che la presenza di un fungo, la Claviceps Purpurea, nella segale cornuta sarebbe stata la causa principale delle allucinazioni e dei bizzarri comportamenti a cui gli adepti dei riti eleusini erano sottoposti.
La presenza di questo fungo parassita, presente in numerose specie di graminacee selvatiche e coltivate (almeno 200), produce derivati dell’acido lisergico, per lo più tossici, dalle proprietà psicoattive e somiglianti a quelle dell’LSD (che è un composto ricavato da questi alcaloidi).
Si ritiene, pertanto, che gli antichi greci fossero tecnicamente in grado di produrre una pozione allucinogena, probabilmente non tossica e mortale dalla segale cornuta. E’ a questa conclusione che nel 1978 i ricercatori Wasson, Hofmann e Ruck proposero la segale cornuta (ergot) come chiave psicofarmacologica del ciceone. Gli autori dell'ipotesi ergotica, dunque, ritengono probabile che i nuovi adepti eleusini siano stati tenuti all'oscuro di questo "Segreto dei Segreti" e che questa conoscenza fosse stata riservata e tramandata ai soli addetti sacri. La rigida selezione dei sacerdoti, scelti fra i membri delle due sole famiglie elitarie degli Eumolpidi e dei Keryci, avrebbe facilitato il controllo della conoscenza del "Segreto dei Segreti" e la continuazione nelle generazioni successive dei famosi Misteri fino a quando essi non furono condannati e soppressi dal Cristianesimo, nei primi secoli dell’era cristiana.

prof. Pier Giovanni Mastrangelo